Il Libro di Orvinio

di Amaranto Fabriani

Edizione definitiva de Il Libro di Orvinio, scritto da un illustre personaggio della cittadina sabina.

Capitolo 23 - Allegati

Una copia del manifesto originale dei festeggiamenti dell’insigne pittore cav. Vincenzo Manenti nel III Centenario della sua nascita e riprodotto in fotografia .

Una copia del Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione (anno V Fascicolo XI 30 novembre 1911) dove è riprodotto un bellissimo articolo corredato di parecchie fotografie circa la Chiesa ed Abbazia di S.Maria del Piano ad opera del Prof.Lorenzo Fiocca.

Una copia della Rivista Mensile “Latina Gens” anno XIV n.3 marzo 1936 XIV con un articolo di Orette Tarquinio Locchi su “Orvinio e il suo Castello”

Una copia della Rivista mensile “Latina Gens “anno XVII n.1-2 gennaio – Febbraio 1939 XVII con un articolo dello scrivente sulla “Chiesa ed Abbazia di S.Maria del Piano in Orvinio”

Manoscritto d’ignoto.

Capitolo 22 - Errata corrige e Aggiornamento

18 settembre 1940 XVIII –
Mi riferisce l’eremita della Chiesa di Vallebona che verso la fine di ottobre dell’anno scorso, una sera si scatenava un grande temporale con abbondanti tuoni e lampi. Tutto ad un tratto, mentre erasi recato in Chiesa, sentiva un forte schianto seguito da un forte tonfo, cosa era successo? Un fulmine aveva colpito la torre più alta della cinta del vecchio paese di Vallebona che svettava maestosa nell’orto dell’Eremita e la parte superiore di essa crollava con grande fragore.

1939 – Per ordine del Segretario Comunale Meloni Luigi è stata tolta la cancellata di ferro che recingeva il vascone della fontana in via Roma in prossimità di Piazza Garibaldi per essere offerto il metallo alla patria.

16-7-1941
In seguito ad ordini ricevuti dalle Superiori Autorità, occorrendo il metallo alla Patria per supreme necessità di guerra, il Comune di Orvinio, ha fatto togliere oggi stesso i due timpani di bronzo dell’orologio collocato nella torretta soprastante la porta Romana e la campana del campaniletto dell’edificio scolastico (ex convento) attiguo alla Chiesa di S. Maria dei Raccomandati.
Qualche mese dopo a mezzo della corriera sono stati portati a Rieti.

17-5-1942
E’ morto in Roma, S.E.Filippo Cremonesi proprietario del Castello di Orvinio

1943
Ai primi dell’anno 1943 il Castello di Orvinio ha cambiato nuovamente il proprietario; è stato acquistato dal Marchese Roberto Malvezzi Campeggi (Guardia Nobile Pontificia) si dice per lire tre milioni e mezzo a porte chiuse e compresa la fattoria.
Per ordine del nuovo proprietario, tutte le suppellettili formanti l’arredamento del Castello di Orvinio, sono state portate a Roma e vendute all’asta pubblica nella Galleria Giacomini in via Condotti 91 e precisamente nei giorni dal 9 al 20 marzo; per la storia, sono state vendute (il giorno 11) persino le due bellissime e storiche portantine esternamente di cuoio nero con arabeschi dorati ed internamente foderate di velluto cremisi, frange d’oro e merletti del 600 – 700, appartenente ai Baroni Muti, in quell’epoca proprietari del Castello di Orvinio, per la somma di £.700 cadauna, io presente.

giugno 1940
L’Italia fascista (Capo del Governo Benito Mussolini) alleata della Germania (nazional socialista o nazista) con a capo Adolfo Hitler e del Giappone, dichiara guerra alla Francia e all’Inghilterra.

Dopo i primi successi, abbastanza effimeri, incominciano i rovesci militari che si risolvono nel più grande disastro che l’Italia ricordi.
L’Inghilterra e i suoi alleati occupano prima l’Africa Orientale Italiana (costituita dalla Somalia, l’Etiopia e l’Eritrea) poi la Cirenaica e quindi la Tripolitania.
Gli Stati Uniti d’America, attaccati dal Giappone, scendono in campo a fianco dell’Inghilterra; lo stesso fa la Russia perché attaccata dalla Germania.
Siamo alla primavera del 1943. Mentre la Russia si incarica di stritolare i tedeschi, gli anglosassoni occupano le isole italiane di Lampedusa e Pantelleria, sentinelle avanzate nel mare Mediterraneo; successivamente viene la volta della Sicilia incominciando dalla costa meridionale e quindi attraverso lo Stretto di Messina avviene l’invasione della nostra martoriata penisola incominciando dalla Calabria.

25 luglio 1943
L’Italia è stremata per i terribili colpi ricevuti nonché per le gravi sofferenze e restrizioni inconcepibili a cui è stata sottoposta.
Sua Maestà Vittorio Emanuele III di Savoia, Re d’Italia e d’Albania e Imperatore di Etiopia fa arrestare (in Roma a Villa Savoia) Mussolini, dopo averlo esonerato dalla carica di Capo del Governo, nominando quale suo successore S.E. il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio.

8 Settembre 1943
S.E. il Maresciallo Badoglio, dopo attento esame della tragica situazione italiana, d’accordo col Sovrano, chiede agli Anglosassoni ed ai Russi la pace, che viene accettata con la resa a discrezione dell’Italia (purtroppo non c’è altro da fare).
Mentre la quasi totalità dell’aviazione e oltre centomila unità della nostra Regia Marina vengono consegnate agli Inglesi nei porti dell’isola di Malta, il resto del nostro glorioso esercito rimasto in Italia, mediante arti subdole e a tradimento con l’uso anche delle armi viene disarmato e disperso dalle armate tedesche che erano disseminate un pò dappertutto sul suolo Italiano.
In meno di una settimana, i teutoni (che sono sempre degni discendenti ed emuli di Attila) sono riusciti a polverizzare il nostro Esercito occupando l’Italia Settentrionale e Centrale, compresa Roma.

Settembre 1943
Orvinio viene occupato dai tedeschi verso la fine di settembre 1943 da circa sessanta uomini tra graduati e truppa.
Il comando tedesco prende dimora nella casa del cav. Uff. Armando Alessi (ultimo piano del palazzo Morelli in Piazza Garibaldi) mentre la truppa si impadronisce della Fattoria del Marchese Malvezzi.
Successivamente occupano il Granarone del Castello, tutto il quartiere dei Villini e l’autorimessa di Ricci Pompeo sulla strada carrozzabile in prossimità di Carpinetto.
Non ostante che il Castello fosse stato posto sotto l’egida dello Stato neutrale della Città del Vaticano e non ostante che agli ingressi fossero state apposte delle ben visibili tabelle monitrici dai colori della Santa Sede, i novelli Unni non hanno mancato di invaderlo lo stesso; sembra però che non vi abbiano arrecati gravi danni.
Dopo l’occupazione dell’Italia da parte tedesca, il nostro sovrano dichiara guerra alla Germania ed al Giappone, ponendosi a fianco dei suoi nuovi alleati Anglosassoni, Russia, Cina, Brasile e molti altri Stati minori per liberare il nostro sacro suolo dalle orde teutoniche.



17 giugno 1944
Incalzati dalle truppe italiane ed alleate gli ultimi soldati tedeschi abbandonano Orvinio alle ore cinque di sabato 17 giugno1944 dirigendosi verso Rieti dopo aver fatti saltare con la dinamite, alle ore tre il ponticello o chiavicotto detto dello sprofondo o del bottino ed alle ore cinque della stessa mattina il ponte grande in località Grugnaleta (detto Ponte di Orsi – nome del costruttore) prospiciente il Santuario della Madonna SS.ma di Vallebona.
Verso le 5,30, ad opera degli stessi eroi, la stessa sorte è toccata al ponte grande di Poggio Moiano in località Malpasso.
La sera precedente con lo stesso metodo e dagli stessi eroi, saltavano in aria il ponte sotto Roccagiovine e un altro ponte sopra Percile stesso ed il località Fotrani veniva abbattuto un muro di sostegno della montagna con conseguente frana ed ostruzione della strada carrozzabile.
In seguito alle distruzioni suddette, Orvinio è rimasto completamente isolato sia dalla parte della Via Salaria e sia dalla Tiburtina Valeria.
Mentre gli abitanti dei centri vicinori hanno sofferto gravi danni, specie Licenza, Percile e Poggio Moiano, gli edifici di Orvinio si sono salvati miracolosamente.
Non un solo fabbricato è stato distrutto o danneggiato seriamente, non ostane che il Castello, il palazzo Morelli, la casa Frezza e la casa Ricci fossero state tempestivamente minate.
Stante la precipitosa ritirata dei barbari, forse non hanno fatto in tempo ad appiccare il fuoco alle miccie.
Si può pertanto coscenziosamente escludere il Divino intervento della Madonna SS.ma di Vallebona?
Mi viene riferito che qualche giorno prima, Orvinio è stato visitato anche dal Maresciallo del Reich tedesco Kesserling Comandante in Capo delle truppe germaniche in Italia. (Roma è stata occupata dalla V Armata Americana e da reparti di bersaglieri ed alpini italiani il giorno 4 giugno 1944).
Solo il Sommo Iddio è stato testimone (e certamente sarà anche il Supremo Giudice inesorabile) di civiltà a tutte le genti, commettendo un'infinità di fucilazioni, deportazioni anche in massa, saccheggi, distruzioni di interi villaggi e città, vessazioni di ogni genere le più raffinate arti affinché le atrocità fossero più terribili nonché atti di vera crudeltà effettuati con cinismo ributtante non risparmiando né donne, né bambini, né vecchi, né ammalati a letto e nemmeno suore e sacerdoti.
Anche Orvinio ha pagato di persona con due dei suoi figli migliori; due giovani certi Alessi e Ragazzoni che inermi transitavano per istrada furono, senza motivo alcuno fucilati.
Questo gli Italiani debbono ponderare e ricordare.

8-9-10 settembre 1943
Mentre i tedeschi con la forza e con l’inganno, si incaricavano di dissolvere il più rapidamente possibile i resti del Glorioso se pur sfortunato Regio Esercito Italiano che dopo la disfatta subita in Africa settentrionale, era ancora forte di oltre trenta Divisioni, la stessa sorte era purtroppo riservata alle sei Divisioni poste alla difesa di Roma.
Se si esclude il valore dimostrato da qualche sparuto reparto in località e da Corpi diversi, il peso (si può dire totale) fu sostenuto dalla sempre fedelissima ed invitta non mai smentita Divisione “Granatieri di Sardegna” (già Guardia del Re) che era stata scaglionata da Albano a Fiumicino.
L’urto tremendo avvenne nei paraggi della Città militare in località “Cecchignola” fuori Porta S.Paolo e la lotta furibonda durò ininterrottamente circa 50 ore.
Il valore dei granatieri fu superiore ad ogni elogio.
La superba Divisione affrontò l’impari lotta con la forza di soli tremila uomini, senza alcuna speranza, e dopo aver resistito oltre ogni umana possibilità di fronte alle preponderanti forze tedesche armate fino ai denti e che facevano un fuoco infernale, il giorno dieci, senza l’appoggio di bocche da fuoco, accerchiata da numerosi carri armati, esaurite le munizioni e priva di viveri per mancanza di rifornimenti, essendosi dimostrata inutile ogni ulteriore resistenza, soprafatta doveva, suo malgrado, cedere.
Tempestivamente però era stato provveduto a mettere in salvo le gloriosissime bandiere onuste di gloria e cariche di medaglie al valore comprese quelle auree.
I Tedeschi escogitarono ogni mezzo, dalle lusinghe alle minacce, per venire in possesso dei gloriosissimi vessilli, ma non ci riuscirono.
Le perdite subite dalla indomita Divisione sono state spaventose e cioè 1550 unità (oltre il 50%).
Queste cifre bastano da sole a documentare l’alto valore e l’eroico comportamento dei baldi
Granatieri.
Sappiano gli Italiani (lo ricordino e non lo dimentichino) che durante l’aspra lotta, i Granatieri che cadevano prigionieri dei tedeschi, venivano da questi prima spogliati, denudati poi fucilati ed infine gettati nel fiume Tevere: Ogni commento guasterebbe.


8 maggio 1945
Gli eserciti alleati operanti in Italia, composti di truppe Americane (5° Armata), Inglesi (8° Armata), Australiane, Brasiliane, Canadesi, Indiane, Sud Africane, Francesi e Polacche oltre a sei Divisioni del Regio Esercito Italiano ed al concorso della nostra Regia Aeronautica e Regia Marina, alla fine di Aprile 1945 avevano ricacciati i barbari tedeschi dalla Sicilia fino alla Pianura Padana.
La notte del 3 maggio 1945 nell’Italia del Nord ancora soggetta al tallone teutonico, avveniva la simultanea sollevazione generale delle bande di Patrioti Italiani comandati e diretti dal Generale Raffaele Cadorna che occupavano quasi per intero il Piemonte, la Liguria, l’alta Emilia e buona parte della Lombardia e del Veneto, nonché le principali città con la cattura di molti reparti tedeschi sorpresi dall’inaspettata simultanea sollevazione.
Per tale fatto i Comandi alleati a corsa veloce accorrevano in sostegno dei patrioti Italiani ed occupavano fino al Passo del Brennero senza combattere ed il giorno 8 maggio 1945 si concludeva la campagna della cacciata dall’Italia dei barbari tedeschi invasori in una sala del Palazzo Reale di Caserta dove veniva firmato l’atto di resa senza condizioni del Gruppo delle Armate teutoniche operanti in Italia, in Austria meridionale e nella Bassa Baviera fino a Berdsgaden (fortezza e rifugio di Adolfo Hitler.
Per tale avvenimento vi sono stati tre giorni di festeggiamenti in tutto il mondo a cominciare dalla martoriata Londra che ha sofferto come poche altre città.

24 settembre 1947
In compagnia del sig. Firmani, segretario del Municipio di Orvinio, ci siamo recati a Rieti alla ricerca della campana della Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano.
Dopo il dovuto permesso concessoci dal Segretario Capo di quel Municipio, abbiamo ispezionati i locali del Teatro Civico, del Museo e della torre campanaria sovrastante la facciata del Palazzo Comunale, ove si supponeva fosse stata collocata.
Le ricerche sono state coronate da pieno successo, perché il Sacro Bronzo è stato scovato in un angolo remoto presso il palcoscenico del Teatro Vespasiano.
In un colloquio concessoci dal Prof. Sacchetti Sanetti Sindaco di Rieti, questi ci ha confermato che la campana di S. Maria del Piano di Orvinio, è effettivamente quella che trovasi nei locali del Teatro Civico. La campana misura centimetri ottanta di altezza, esclusa la corona che serve per fissarla al ceppo; il diametro della bocca è uguale all’altezza cioè cm.80, spessore cent. Otto.
Nella parte superiore esterna, in due righe poste tutt’ingiro si nota:








Fra Nucula e Abba la Beata Vergine seduta con in grembo il Santo Bambino poppante (che riproduca la Madonna di Vallebona conosciuta fin da quel tempo?)
Più sotto un albero di olivo con rami, foglie e radici.
Sotto la parola Aquilanus si nota una aquila reale ad ali mezze aperte con corona a tre palle in testa (forse simboleggia la città di Aquila).
Sotto il quarto C della data di fusione un piccolo Crocefisso (circa otto centimetri) a circa venti centimetri dalla cupola un festone di fiori ed angelica a quattro ali equidistanti di circa cinque centimetri con festoni di fiori.
Tutto il resto della superficie esterna è completamente liscio.
Il Municipio di Orvinio ha già iniziate le relative pratiche presso le Superiore Autorità, onde rientrare in possesso della sua campana; speriamo che il nulla osta, da circa un secolo tanto agognato, non si faccia troppo attendere affinché la bella campana, dalle elegantissime linee, dopo un sì lungo periodo di forzato silenzio, possa con la sua squillante voce, placare il giusto risentimento di tutti gli Orviniensi per l’immeritato affronto commesso nell’aprile del 1849 dal Preside di Rieti sig. Raffaele Feoli.

Giugno 1948
(Vedere 1939) La cancellata della fontana, dopo essere stata divelta e gettata a terra nei retrostanti locali dei pubblici lavatoi, è rimasta colà per tutto il periodo della guerra ed oltre.
Con lodevole iniziativa, il Municipio di Orvinio, dopo averla fatta restaurare, la faceva ricollocare al proprio posto, degno corollario della monumentale fontana.

2 Giugno 1946
Giornata di lutto nazionale e di vergogna per l’Italia.
La coalizione dei partiti politici di estrema sinistra, capeggiati dai comunisti e dai socialisti fusionisti, in unione ai partitini di azione e repubblicano storico, ai quali si è aggiunto all’ultimo momento il partito della democrazia cristiana che, (per essere in questo momento il partito più forte, porta il maggior peso delle proprie gravi responsabilità) è stato imposto alla Nazione il referendum istituzionale, affinché gli Italiani si pronunciassero, mediante il voto, se preferissero continuare e quindi confermare se intendessero essere governati dal regime Monarchico, oppure preferissero quello repubblicano.
Peraltro, anziché attendere un periodo di maggior calma, affinché gli Italiani avessero potuto dare il loro voto con maggiore ponderatezza e dopo matura riflessione, si è invece stabilito a bella posta, di effettuarlo a poca distanza dalla fine della tremenda guerra perduta, quando cioè gli animi erano esasperati per la sconfitta immeritatamente subita, e tanti continuamente in tale stato, dalla iniqua e perfida nonché falsissima propaganda, fatta abilmente dagli attivisti degli stessi estremisti. Aggiungasi poi, che il Ministro degli Interni era un certo ingegnere Romita socialista e fervente repubblicano che in combutta con la cricca estremista, ha manovrato a danno della Monarchia Sabauda in modo palesemente sconcio e ributtante che veramente è amata e benvoluta dalla stragrande maggioranza degli Italiani degni di questo nome.
Hanno fatto votare più volte la stessa persona in sezioni diverse, i morti i bambini, annullate schede valide, accettate schede false, sostituzione di schede durante le votazioni e gli scrutini, intimidazioni alle persone, lettere minatorie, sorvegliati gli elettori alle cabine ed ingannati dove dovevano apporre la crocetta sulla scheda; schede sottratte e distrutte (i fruttivendoli del mercato di Piazza Vittorio Emanuele in Roma ci è stato riferito da molti- hanno incartato la loro merce con schede sottratte ai seggi), seggi ed urne violati col consenso di agenti partigiani di Romita ecc ecc.
Sono stati esclusi dal voto moltissimi ex fascisti, ex Senatori, gli Italiani della Venezia Giulia, i prigionieri Italiani trattenuti fuori dell’Italia, gli Italiani delle Isole del Dodecanneso, quelli rimasti nelle Colonie Italiane e tutti gli Italiani all’estero, nonché quelli che trovavansi sulle navi in tutti i mari del mondo, ben sapendo che il loro voto sarebbe andato difilato alla Monarchia.
Non ostante ciò, i comunicati radio che continuamente annunciavano l’andamento degli scrutini in tutto il Regno, fin verso le ore 23, dicevano chiaramente che la Monarchia era sempre in prevalenza sulla repubblica.
Poi per alcune ore la radio ha taciuto; che cosa era avvenuto? E’ certo che sono stati dati gli ordini necessari per accentuare i brogli, affinché il grande piccolissimo Romita fosse messo in condizione di poter annunciare il seguente comunicato ufficiale e cioè:
Monarchia voti 10.719.284
Repubblica voti 12.717.923
Voti nulli 1.498.136.
Questi i dati ufficiali fatti su misura in un simile referendum!!!
Sappiano i posteri che così è nato questo mostriciattolo di repubblica così detta di Masaniello.
Ci auguriamo invece che, fra non molto, possa indirsi un nuovo referendum con liberissime elezioni; sono certo che allora gli Italiani sapranno dare una giusta risposta, in riparazione dell’onta subita coercitivamente nel nefasto 2 giugno 1946.
Questo non per una idea, ma solo nell’interesse di tutta l’Italia che adora, come sempre, Casa Savoia e non dimentica che non avremmo mai avuta l’Italia unita se la Monarchia Sabauda, al principio del secolo scorso, non avesse raccolto il grido di dolore di tutti gli Italiani oppressi dal giogo dei vari staterelli che pullulavano nella nostra martoriata penisola.
Si tenga sempre ben presente che la Monarchia ci unisce dalle Alpi al Lilibeo, mentre la Repubblica ci divide.

8 Dicembre 1949
(vedere 1939 – 16.7.1941 e giugno 1948)
Come è stato provveduto a rimettere a posto la cancellata nella fontana monumentale in Via Roma, così è stato provveduto a riavere dallo Stato delle fusioni in bronzo titolato, identiche per forma e peso a quelle requisite il 10.7.1941.
La benedizione dei sacri bronzi, prima di essere ricollocati al posto dove furono tolti, è avvenuto oggi stesso nella piazzetta antistante la Chiesa di S. Maria dei Raccomandati.
Il battesimo della campana che le è stato imposto il nome dell’Angelus è stato impartito dal parroco di Orvinio Mons. Sarrocco don Salvatore; madrina è stata Suor Anna delle Figlie della Croce, Superiora del Convento di Orvinio. E’ stata ricollocata sulla sua torretta alle ore 12 del 17.12.1949 parlando per la prima volta con la sua bronzea voce, alla popolazione di Orvinio che attendeva ansiosa. La nuova campana pesa Kg.94; nella parte esterna, al centro è riprodotta l’effigie della Madonna SS.ma dei Raccomandati che sormonta l’Altare Maggiore della prossima Chiesa omonima, con sotto la scritta della vecchia campana requisita e cioè AVE MARIA GRAZIA PLENA A.D. MDCVIII.
In alto verso la cupola della stessa cinque teste di cherubini alati con festoni.
In basso presso la bocca si legge:
ABLATUM TEMPORE BELLI A.D.MCMXL –MCMXLV –RESTITUTUM PUBLICO SUMPTU A.D. MCMIL (cioè 1949)
Qualche giorno dopo sono stati messi a posto anche i nuovi timpani dell’orologio sovrastante a Porta Romana.

21 Novembre 1949
Il Municipio di Orvinio con ordinanza n.59 del 21.11.49 a firma del sindaco dott. Valentino Tani ha ingiunto alla popolazione di provvedere entro dieci giorni alla rimozione delle salme, sepolte entro la Chiesa di S.Maria del Piano e tumularle nel nuovo Camposanto in voc. Petriane nelle rispettive tombe di famiglia, trascorso detto termine il Comune ha provveduto a proprie spese a trasportare tutte le ossa entro l’ossario comune nel nuovo Camposanto. Provvedimento meritorio.

Luglio 1951
La ditta F.lli Lorioli di Milano ha coniate diecimila medaglie da diciotto millimetri di diametro in onore della Madonna SS.ma di Vallebona con la scritta “Madonna SS.ma di Vallebona” mentre sul rovescio è riprodotto il monte di Vallebona con il sovrastante celebre Santuario e la grande torre nel prossimo orto dell’eremita con la leggenda “Santuario di Vallebona – Orvinio”.
Per averne qualche esemplare occorre rivolgersi al Parroco di Orvinio mediante una libera offerta a beneficio del Santuario stesso.

Estate 1951 e seguenti
Per allargare di alcuni metri il viale Roma dalla Piazza Garibaldi al piazzale antistante la Chiesa di S.Giacomo, è stato effettuato il taglio del monte e con il materiale di risulta si è colmata la conca delle Canapine (ex cava di argilla per le prossime antiche fornaci di laterizi) contigue al viale Roma; con tali movimenti di terra ne è risultato un immenso piazzale molto comodo per effettuarci delle partite di calcio, per effettuarvi la trebbiatura del grano e per il riposo dei numerosi villeggianti.
Nello stesso periodo sono stati rinnovati i selciati con le relative cordonate nell’intera Salita del Borgo, della cordonata che immette dal Corso Vanenti alla Porta dell’Arco e riattamento della maggior parte delle strade e piazze dei Rioni Casalino, Torricello e S.Giacomo, nonché la sistemazione del viale della Passeggiata con speciale riferimento al Torrione; però, a mio parere, il lavoro non è stato eseguito a regola d’arte e certamente i nuovi selciati resisteranno breve tempo, al confronto di quelli disfatti, che hanno funzionato egregiamente per un periodo ultra secolare.
Sempre nello stesso periodo di tempo è stato rabberciato il muro di sostegno del Piazzaletto antistante la Chiesa di S.Maria dei Raccomandati; peraltro mentre prima del muro di sostegno non esisteva alcun riparo, ora sono stati eretti all’ingiro alcuni pilastri in pietra collegati da canne metalliche a coronamento di tutta l’estensione del muro di sostegno stesso.

1 gennaio 1951
Sono stati avulsi dal Mandamento di Orvinio ed aggregati a quello di Rieti i seguenti Comuni con le rispettive frazioni:
- Collalto
- Collegiove
- Marcetelli
- Nespolo
- Paganico
solo per la Giurisdizione degli Uffici finanziari e cioè Agenzia delle Imposte Dirette ed Ufficio del Registro, mentre per quella della Pretura, appartengono sempre a quella di Orvinio.

18-22 febbraio 1953
Da testimoni oculari ho appreso i particolari del crollo totale dell’intera facciata principale della Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano.
Il 18 febbraio 1953 inaspettatamente è crollata la parte anteriore del muro della zona superiore comprendente le opere d’arte della facciata stessa e cioè il coronamento del timpano, il rosone, la finestra, le due lesene con i rispettivi capitelli corinzi ed i sei archetti con le due lapidi.
Verso le ore 11 della successiva domenica 22 febbraio, con grande fragore improvvisamente rovinava il resto della facciata, fino alle fondamenta, compreso il portale; rinuncio a descrivere il miserando spettacolo che si è presentato ai miei occhi allorché mi sono recato a vedere tanta rovina. Pertanto mi sono subito precipitato alla Sovrintendenza Monumenti e scavi del Lazio, in Piazza S.Ignazio, informandola del disastro capitato a S.Maria del Piano; infatti una commissione di ingegneri della stessa Sovrintendenza da me sollecitati, effettuava il 10 marzo 1953 un sopraluogo, redigendo un’ampia relazione per il superiore Ministero della Pubblica Istruzione.
Il 17 marzo 1953 riunione nel palazzo comunale di Orvinio dei rappresentanti della suddetta sovrintendenza, dell’Intendenza di Finanza di Rieti e del sindaco di Orvinio professore Goffredo Liguori per concordare la cessione gratuita di tutto il complesso di S.Maria del Piano, dal Comune di Orvinio verso lo Stato Italiano, giusta Deliberazione n.4 del 30 aprile 1953 del Consiglio Comunale di Orvinio, debitamente approvata dalla Autorità Tutoria; in detta Deliberazione il Comune di Orvinio ha posto a suo carico le spese di registrazione dell’atto di cessione.
Nel frattempo, in seguito al mio personale interessamento, avendo ottenuto dalla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti presso il Ministro della Pubblica Istruzione, un primo stanziamento di fondi sul bilancio 1953 di detto Ministero, nella misura di cinque milioni di lire, ai primi di giugno 1953 infatti si sono iniziati i tanto sospirati lavori di restauro cominciando dalla torre (vedi fig.22 e 23 a pag.62 A) campanaria .
I lavori saranno lunghi e pazienti e speriamo di vedere presto l’opera compiuta in modo che la bella e importantissima Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano, vanto di Orvinio e dell’intera Sabina, torni a splendere quale fulgida gemma, del suo antico splendore.


S. Maria del Piano dopo il crollo della facciata della Chiesa avvenuto il 18 e 22 febbraio 1953.






















S. Maria del Piano dopo il crollo




















Giugno 1953 – Inizio dei lavori di restauro della torre Campanaria di S. Maria del Piano













L’Osservatore Romano – 24 Dicembre 1954

Il restauro al campanile di S. Maria del Piano in Orvinio

Vuole la tradizione che il complesso abbaziale di S. Maria del Piano nei pressi di Orvinio sia stato eretto dall’imperatore Carlo Magno in segno di gratitudine alla Vergine per avere riportato in quei luoghi una eccezionale vittoria sui Saraceni nella marcia da Ancona verso Roma dove lo attendeva la solenne incoronazione in S. Pietro. Pur prestando alcuna fede a quanto narra la leggenda fiorita in una regione che pur vede nella sua storia l’apparizione dei Franchi, non si può fare a meno di constatare elementi ed esemplari stilistici nella costruzione dell’abbazia, che di molto si avvicinano al periodo approssimativo narrato nella leggenda e fanno datare almeno in parte l’abbazia e la chiesa con la torre campanaria ad età anteriore all’XI secolo.
Comunque il primo documento riguardante S.Maria del Piano, risale al 1015 e ricorda come dei magnati del luogo donarono a Farfa un territorio della Sabina “in loco qui nominatur ad illa plana, ubi est aedificata ecclesia vocabulo Sancta Maria”.
L’importanza dell’abbazia toccò il punto massimo nel pieno medioevo e quindi cominciò a declinare, subito dopo il Rinascimento di grado in grado finché fu abbandonata e, nel 1869, ceduta al Comune di Orvinio, che vi creò un piccolo cimitero.
Attraverso vari secoli di completo abbandono la struttura muraria dei tre nuclei subì ingenti danni che culminarono mesi or sono con il crollo in due tempi della facciata della Chiesa bellissima nello stile romanico abruzzese con la monofora istoriata sottostante al rosone e con il portale quattrocentesco sovrapposto in un secondo tempo allo stile iniziale.
Negli ultimi tempi l’unico elemento che conservava una certa integrità era il campanile. Lesioni longitudinali per tutta la sua altezza ne insidiavano la stabilità e fecero decidere il prof. Ceschi, Soprintendente ai Monumenti del Lazio, ad iniziare il restauro del superstite avanzo di quella che fu una potente e ricca abbazia.
La direzione del lavoro venne affidata all’ing. Giovanni di Geso. Dopo aver liberato la base del campanile dalla folta vegetazione selvatica abbarbicata alle mura e dopo aver raccolto e selezionato il materiale giacente all’intorno e caduto dalla torre stessa, si approntò un robusto ponte di servizio, tutto intorno al perimetro del campanile ed avente funzione, insieme a sei cerchiture in ferro alternate fino alla sommità della costruzione, di sostegni di sicurezza nel caso di eventuali movimenti di assestamento del campanile.
Tali mosse di assestamento si temettero allorché fu liberato l’interno della torre dal materiale e dai detriti della copertura e a maggior sicurezza furono operate nell’interno sbadacciature in considerazione anche della totale polverizzazione della malta fra i conci e quindi della conseguente maggiorata sensibilità dei muri a pressioni esterne ed interne. Fu ripresa poi l’opera muraria dei quattro piloni del campanile, due dei quali presentavano un notevole fuori piombo. Nel delicato lavoro fu impiegato tutto il materiale originale rinvenuto ai piedi della torre campanaria e rappresentato nella sua gran parte da mattonati e conci romani, alcuni dei quali recanti incise scritture indubbiamente facenti parte di antiche lapidi scolpite nel periodo romano.
Successivamente si provvide a disostruire le aperture del campanile, le bifore e le trifore, ricollocando al proprio posto le originali colonnine e i capitelli rinvenuti nel materiale caduto e accumulatosi a terra e a ricostruire il tetto completamente mancante, a quattro pioventi, interpretando l’andamento di tutto lo stile. In questo modo nel novembre 1954 si pose termine al restauro del campanile iniziato nel giugno del 1953, ridonando allo antico monumento le suggestive caratteristiche proprie della sua epoca.
Della secolare abbazia benedettina, al di fuori del campanile non rimane che un insieme di mura decrepite e in rovina nell’insieme del quale a stento si rintracciano i fondamentali motivi architettonici. La torre campanaria restaurata e rinnovata innalza i suoi contorni precisi che si stagliano, alla base, sull’incerto biancore delle rovine.
E l’antica abbazia attende che anche per lei giunga il giorno della miracolosa resurrezione per poter ridonare al campanile la completezza originaria e per poter ancora per molti decenni tramandare ai posteri la tradizione che è metà storia e metà leggenda del re dei Franchi, Carlo Magno.

Capitolo 22 - Errata corrige e Aggiornamento

18 settembre 1940 XVIII –
Mi riferisce l’eremita della Chiesa di Vallebona che verso la fine di ottobre dell’anno scorso, una sera si scatenava un grande temporale con abbondanti tuoni e lampi. Tutto ad un tratto, mentre erasi recato in Chiesa, sentiva un forte schianto seguito da un forte tonfo, cosa era successo? Un fulmine aveva colpito la torre più alta della cinta del vecchio paese di Vallebona che svettava maestosa nell’orto dell’Eremita e la parte superiore di essa crollava con grande fragore.

1939 – Per ordine del Segretario Comunale Meloni Luigi è stata tolta la cancellata di ferro che recingeva il vascone della fontana in via Roma in prossimità di Piazza Garibaldi per essere offerto il metallo alla patria.

16-7-1941
In seguito ad ordini ricevuti dalle Superiori Autorità, occorrendo il metallo alla Patria per supreme necessità di guerra, il Comune di Orvinio, ha fatto togliere oggi stesso i due timpani di bronzo dell’orologio collocato nella torretta soprastante la porta Romana e la campana del campaniletto dell’edificio scolastico (ex convento) attiguo alla Chiesa di S. Maria dei Raccomandati.
Qualche mese dopo a mezzo della corriera sono stati portati a Rieti.

17-5-1942
E’ morto in Roma, S.E.Filippo Cremonesi proprietario del Castello di Orvinio

1943
Ai primi dell’anno 1943 il Castello di Orvinio ha cambiato nuovamente il proprietario; è stato acquistato dal Marchese Roberto Malvezzi Campeggi (Guardia Nobile Pontificia) si dice per lire tre milioni e mezzo a porte chiuse e compresa la fattoria.
Per ordine del nuovo proprietario, tutte le suppellettili formanti l’arredamento del Castello di Orvinio, sono state portate a Roma e vendute all’asta pubblica nella Galleria Giacomini in via Condotti 91 e precisamente nei giorni dal 9 al 20 marzo; per la storia, sono state vendute (il giorno 11) persino le due bellissime e storiche portantine esternamente di cuoio nero con arabeschi dorati ed internamente foderate di velluto cremisi, frange d’oro e merletti del 600 – 700, appartenente ai Baroni Muti, in quell’epoca proprietari del Castello di Orvinio, per la somma di £.700 cadauna, io presente.

giugno 1940
L’Italia fascista (Capo del Governo Benito Mussolini) alleata della Germania (nazional socialista o nazista) con a capo Adolfo Hitler e del Giappone, dichiara guerra alla Francia e all’Inghilterra.

Dopo i primi successi, abbastanza effimeri, incominciano i rovesci militari che si risolvono nel più grande disastro che l’Italia ricordi.
L’Inghilterra e i suoi alleati occupano prima l’Africa Orientale Italiana (costituita dalla Somalia, l’Etiopia e l’Eritrea) poi la Cirenaica e quindi la Tripolitania.
Gli Stati Uniti d’America, attaccati dal Giappone, scendono in campo a fianco dell’Inghilterra; lo stesso fa la Russia perché attaccata dalla Germania.
Siamo alla primavera del 1943. Mentre la Russia si incarica di stritolare i tedeschi, gli anglosassoni occupano le isole italiane di Lampedusa e Pantelleria, sentinelle avanzate nel mare Mediterraneo; successivamente viene la volta della Sicilia incominciando dalla costa meridionale e quindi attraverso lo Stretto di Messina avviene l’invasione della nostra martoriata penisola incominciando dalla Calabria.

25 luglio 1943
L’Italia è stremata per i terribili colpi ricevuti nonché per le gravi sofferenze e restrizioni inconcepibili a cui è stata sottoposta.
Sua Maestà Vittorio Emanuele III di Savoia, Re d’Italia e d’Albania e Imperatore di Etiopia fa arrestare (in Roma a Villa Savoia) Mussolini, dopo averlo esonerato dalla carica di Capo del Governo, nominando quale suo successore S.E. il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio.

8 Settembre 1943
S.E. il Maresciallo Badoglio, dopo attento esame della tragica situazione italiana, d’accordo col Sovrano, chiede agli Anglosassoni ed ai Russi la pace, che viene accettata con la resa a discrezione dell’Italia (purtroppo non c’è altro da fare).
Mentre la quasi totalità dell’aviazione e oltre centomila unità della nostra Regia Marina vengono consegnate agli Inglesi nei porti dell’isola di Malta, il resto del nostro glorioso esercito rimasto in Italia, mediante arti subdole e a tradimento con l’uso anche delle armi viene disarmato e disperso dalle armate tedesche che erano disseminate un pò dappertutto sul suolo Italiano.
In meno di una settimana, i teutoni (che sono sempre degni discendenti ed emuli di Attila) sono riusciti a polverizzare il nostro Esercito occupando l’Italia Settentrionale e Centrale, compresa Roma.

Settembre 1943
Orvinio viene occupato dai tedeschi verso la fine di settembre 1943 da circa sessanta uomini tra graduati e truppa.
Il comando tedesco prende dimora nella casa del cav. Uff. Armando Alessi (ultimo piano del palazzo Morelli in Piazza Garibaldi) mentre la truppa si impadronisce della Fattoria del Marchese Malvezzi.
Successivamente occupano il Granarone del Castello, tutto il quartiere dei Villini e l’autorimessa di Ricci Pompeo sulla strada carrozzabile in prossimità di Carpinetto.
Non ostante che il Castello fosse stato posto sotto l’egida dello Stato neutrale della Città del Vaticano e non ostante che agli ingressi fossero state apposte delle ben visibili tabelle monitrici dai colori della Santa Sede, i novelli Unni non hanno mancato di invaderlo lo stesso; sembra però che non vi abbiano arrecati gravi danni.
Dopo l’occupazione dell’Italia da parte tedesca, il nostro sovrano dichiara guerra alla Germania ed al Giappone, ponendosi a fianco dei suoi nuovi alleati Anglosassoni, Russia, Cina, Brasile e molti altri Stati minori per liberare il nostro sacro suolo dalle orde teutoniche.



17 giugno 1944
Incalzati dalle truppe italiane ed alleate gli ultimi soldati tedeschi abbandonano Orvinio alle ore cinque di sabato 17 giugno1944 dirigendosi verso Rieti dopo aver fatti saltare con la dinamite, alle ore tre il ponticello o chiavicotto detto dello sprofondo o del bottino ed alle ore cinque della stessa mattina il ponte grande in località Grugnaleta (detto Ponte di Orsi – nome del costruttore) prospiciente il Santuario della Madonna SS.ma di Vallebona.
Verso le 5,30, ad opera degli stessi eroi, la stessa sorte è toccata al ponte grande di Poggio Moiano in località Malpasso.
La sera precedente con lo stesso metodo e dagli stessi eroi, saltavano in aria il ponte sotto Roccagiovine e un altro ponte sopra Percile stesso ed il località Fotrani veniva abbattuto un muro di sostegno della montagna con conseguente frana ed ostruzione della strada carrozzabile.
In seguito alle distruzioni suddette, Orvinio è rimasto completamente isolato sia dalla parte della Via Salaria e sia dalla Tiburtina Valeria.
Mentre gli abitanti dei centri vicinori hanno sofferto gravi danni, specie Licenza, Percile e Poggio Moiano, gli edifici di Orvinio si sono salvati miracolosamente.
Non un solo fabbricato è stato distrutto o danneggiato seriamente, non ostane che il Castello, il palazzo Morelli, la casa Frezza e la casa Ricci fossero state tempestivamente minate.
Stante la precipitosa ritirata dei barbari, forse non hanno fatto in tempo ad appiccare il fuoco alle miccie.
Si può pertanto coscenziosamente escludere il Divino intervento della Madonna SS.ma di Vallebona?
Mi viene riferito che qualche giorno prima, Orvinio è stato visitato anche dal Maresciallo del Reich tedesco Kesserling Comandante in Capo delle truppe germaniche in Italia. (Roma è stata occupata dalla V Armata Americana e da reparti di bersaglieri ed alpini italiani il giorno 4 giugno 1944).
Solo il Sommo Iddio è stato testimone (e certamente sarà anche il Supremo Giudice inesorabile) di civiltà a tutte le genti, commettendo un'infinità di fucilazioni, deportazioni anche in massa, saccheggi, distruzioni di interi villaggi e città, vessazioni di ogni genere le più raffinate arti affinché le atrocità fossero più terribili nonché atti di vera crudeltà effettuati con cinismo ributtante non risparmiando né donne, né bambini, né vecchi, né ammalati a letto e nemmeno suore e sacerdoti.
Anche Orvinio ha pagato di persona con due dei suoi figli migliori; due giovani certi Alessi e Ragazzoni che inermi transitavano per istrada furono, senza motivo alcuno fucilati.
Questo gli Italiani debbono ponderare e ricordare.

8-9-10 settembre 1943
Mentre i tedeschi con la forza e con l’inganno, si incaricavano di dissolvere il più rapidamente possibile i resti del Glorioso se pur sfortunato Regio Esercito Italiano che dopo la disfatta subita in Africa settentrionale, era ancora forte di oltre trenta Divisioni, la stessa sorte era purtroppo riservata alle sei Divisioni poste alla difesa di Roma.
Se si esclude il valore dimostrato da qualche sparuto reparto in località e da Corpi diversi, il peso (si può dire totale) fu sostenuto dalla sempre fedelissima ed invitta non mai smentita Divisione “Granatieri di Sardegna” (già Guardia del Re) che era stata scaglionata da Albano a Fiumicino.
L’urto tremendo avvenne nei paraggi della Città militare in località “Cecchignola” fuori Porta S.Paolo e la lotta furibonda durò ininterrottamente circa 50 ore.
Il valore dei granatieri fu superiore ad ogni elogio.
La superba Divisione affrontò l’impari lotta con la forza di soli tremila uomini, senza alcuna speranza, e dopo aver resistito oltre ogni umana possibilità di fronte alle preponderanti forze tedesche armate fino ai denti e che facevano un fuoco infernale, il giorno dieci, senza l’appoggio di bocche da fuoco, accerchiata da numerosi carri armati, esaurite le munizioni e priva di viveri per mancanza di rifornimenti, essendosi dimostrata inutile ogni ulteriore resistenza, soprafatta doveva, suo malgrado, cedere.
Tempestivamente però era stato provveduto a mettere in salvo le gloriosissime bandiere onuste di gloria e cariche di medaglie al valore comprese quelle auree.
I Tedeschi escogitarono ogni mezzo, dalle lusinghe alle minacce, per venire in possesso dei gloriosissimi vessilli, ma non ci riuscirono.
Le perdite subite dalla indomita Divisione sono state spaventose e cioè 1550 unità (oltre il 50%).
Queste cifre bastano da sole a documentare l’alto valore e l’eroico comportamento dei baldi
Granatieri.
Sappiano gli Italiani (lo ricordino e non lo dimentichino) che durante l’aspra lotta, i Granatieri che cadevano prigionieri dei tedeschi, venivano da questi prima spogliati, denudati poi fucilati ed infine gettati nel fiume Tevere: Ogni commento guasterebbe.


8 maggio 1945
Gli eserciti alleati operanti in Italia, composti di truppe Americane (5° Armata), Inglesi (8° Armata), Australiane, Brasiliane, Canadesi, Indiane, Sud Africane, Francesi e Polacche oltre a sei Divisioni del Regio Esercito Italiano ed al concorso della nostra Regia Aeronautica e Regia Marina, alla fine di Aprile 1945 avevano ricacciati i barbari tedeschi dalla Sicilia fino alla Pianura Padana.
La notte del 3 maggio 1945 nell’Italia del Nord ancora soggetta al tallone teutonico, avveniva la simultanea sollevazione generale delle bande di Patrioti Italiani comandati e diretti dal Generale Raffaele Cadorna che occupavano quasi per intero il Piemonte, la Liguria, l’alta Emilia e buona parte della Lombardia e del Veneto, nonché le principali città con la cattura di molti reparti tedeschi sorpresi dall’inaspettata simultanea sollevazione.
Per tale fatto i Comandi alleati a corsa veloce accorrevano in sostegno dei patrioti Italiani ed occupavano fino al Passo del Brennero senza combattere ed il giorno 8 maggio 1945 si concludeva la campagna della cacciata dall’Italia dei barbari tedeschi invasori in una sala del Palazzo Reale di Caserta dove veniva firmato l’atto di resa senza condizioni del Gruppo delle Armate teutoniche operanti in Italia, in Austria meridionale e nella Bassa Baviera fino a Berdsgaden (fortezza e rifugio di Adolfo Hitler.
Per tale avvenimento vi sono stati tre giorni di festeggiamenti in tutto il mondo a cominciare dalla martoriata Londra che ha sofferto come poche altre città.

24 settembre 1947
In compagnia del sig. Firmani, segretario del Municipio di Orvinio, ci siamo recati a Rieti alla ricerca della campana della Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano.
Dopo il dovuto permesso concessoci dal Segretario Capo di quel Municipio, abbiamo ispezionati i locali del Teatro Civico, del Museo e della torre campanaria sovrastante la facciata del Palazzo Comunale, ove si supponeva fosse stata collocata.
Le ricerche sono state coronate da pieno successo, perché il Sacro Bronzo è stato scovato in un angolo remoto presso il palcoscenico del Teatro Vespasiano.
In un colloquio concessoci dal Prof. Sacchetti Sanetti Sindaco di Rieti, questi ci ha confermato che la campana di S. Maria del Piano di Orvinio, è effettivamente quella che trovasi nei locali del Teatro Civico. La campana misura centimetri ottanta di altezza, esclusa la corona che serve per fissarla al ceppo; il diametro della bocca è uguale all’altezza cioè cm.80, spessore cent. Otto.
Nella parte superiore esterna, in due righe poste tutt’ingiro si nota:








Fra Nucula e Abba la Beata Vergine seduta con in grembo il Santo Bambino poppante (che riproduca la Madonna di Vallebona conosciuta fin da quel tempo?)
Più sotto un albero di olivo con rami, foglie e radici.
Sotto la parola Aquilanus si nota una aquila reale ad ali mezze aperte con corona a tre palle in testa (forse simboleggia la città di Aquila).
Sotto il quarto C della data di fusione un piccolo Crocefisso (circa otto centimetri) a circa venti centimetri dalla cupola un festone di fiori ed angelica a quattro ali equidistanti di circa cinque centimetri con festoni di fiori.
Tutto il resto della superficie esterna è completamente liscio.
Il Municipio di Orvinio ha già iniziate le relative pratiche presso le Superiore Autorità, onde rientrare in possesso della sua campana; speriamo che il nulla osta, da circa un secolo tanto agognato, non si faccia troppo attendere affinché la bella campana, dalle elegantissime linee, dopo un sì lungo periodo di forzato silenzio, possa con la sua squillante voce, placare il giusto risentimento di tutti gli Orviniensi per l’immeritato affronto commesso nell’aprile del 1849 dal Preside di Rieti sig. Raffaele Feoli.

Giugno 1948
(Vedere 1939) La cancellata della fontana, dopo essere stata divelta e gettata a terra nei retrostanti locali dei pubblici lavatoi, è rimasta colà per tutto il periodo della guerra ed oltre.
Con lodevole iniziativa, il Municipio di Orvinio, dopo averla fatta restaurare, la faceva ricollocare al proprio posto, degno corollario della monumentale fontana.

2 Giugno 1946
Giornata di lutto nazionale e di vergogna per l’Italia.
La coalizione dei partiti politici di estrema sinistra, capeggiati dai comunisti e dai socialisti fusionisti, in unione ai partitini di azione e repubblicano storico, ai quali si è aggiunto all’ultimo momento il partito della democrazia cristiana che, (per essere in questo momento il partito più forte, porta il maggior peso delle proprie gravi responsabilità) è stato imposto alla Nazione il referendum istituzionale, affinché gli Italiani si pronunciassero, mediante il voto, se preferissero continuare e quindi confermare se intendessero essere governati dal regime Monarchico, oppure preferissero quello repubblicano.
Peraltro, anziché attendere un periodo di maggior calma, affinché gli Italiani avessero potuto dare il loro voto con maggiore ponderatezza e dopo matura riflessione, si è invece stabilito a bella posta, di effettuarlo a poca distanza dalla fine della tremenda guerra perduta, quando cioè gli animi erano esasperati per la sconfitta immeritatamente subita, e tanti continuamente in tale stato, dalla iniqua e perfida nonché falsissima propaganda, fatta abilmente dagli attivisti degli stessi estremisti. Aggiungasi poi, che il Ministro degli Interni era un certo ingegnere Romita socialista e fervente repubblicano che in combutta con la cricca estremista, ha manovrato a danno della Monarchia Sabauda in modo palesemente sconcio e ributtante che veramente è amata e benvoluta dalla stragrande maggioranza degli Italiani degni di questo nome.
Hanno fatto votare più volte la stessa persona in sezioni diverse, i morti i bambini, annullate schede valide, accettate schede false, sostituzione di schede durante le votazioni e gli scrutini, intimidazioni alle persone, lettere minatorie, sorvegliati gli elettori alle cabine ed ingannati dove dovevano apporre la crocetta sulla scheda; schede sottratte e distrutte (i fruttivendoli del mercato di Piazza Vittorio Emanuele in Roma ci è stato riferito da molti- hanno incartato la loro merce con schede sottratte ai seggi), seggi ed urne violati col consenso di agenti partigiani di Romita ecc ecc.
Sono stati esclusi dal voto moltissimi ex fascisti, ex Senatori, gli Italiani della Venezia Giulia, i prigionieri Italiani trattenuti fuori dell’Italia, gli Italiani delle Isole del Dodecanneso, quelli rimasti nelle Colonie Italiane e tutti gli Italiani all’estero, nonché quelli che trovavansi sulle navi in tutti i mari del mondo, ben sapendo che il loro voto sarebbe andato difilato alla Monarchia.
Non ostante ciò, i comunicati radio che continuamente annunciavano l’andamento degli scrutini in tutto il Regno, fin verso le ore 23, dicevano chiaramente che la Monarchia era sempre in prevalenza sulla repubblica.
Poi per alcune ore la radio ha taciuto; che cosa era avvenuto? E’ certo che sono stati dati gli ordini necessari per accentuare i brogli, affinché il grande piccolissimo Romita fosse messo in condizione di poter annunciare il seguente comunicato ufficiale e cioè:
Monarchia voti 10.719.284
Repubblica voti 12.717.923
Voti nulli 1.498.136.
Questi i dati ufficiali fatti su misura in un simile referendum!!!
Sappiano i posteri che così è nato questo mostriciattolo di repubblica così detta di Masaniello.
Ci auguriamo invece che, fra non molto, possa indirsi un nuovo referendum con liberissime elezioni; sono certo che allora gli Italiani sapranno dare una giusta risposta, in riparazione dell’onta subita coercitivamente nel nefasto 2 giugno 1946.
Questo non per una idea, ma solo nell’interesse di tutta l’Italia che adora, come sempre, Casa Savoia e non dimentica che non avremmo mai avuta l’Italia unita se la Monarchia Sabauda, al principio del secolo scorso, non avesse raccolto il grido di dolore di tutti gli Italiani oppressi dal giogo dei vari staterelli che pullulavano nella nostra martoriata penisola.
Si tenga sempre ben presente che la Monarchia ci unisce dalle Alpi al Lilibeo, mentre la Repubblica ci divide.

8 Dicembre 1949
(vedere 1939 – 16.7.1941 e giugno 1948)
Come è stato provveduto a rimettere a posto la cancellata nella fontana monumentale in Via Roma, così è stato provveduto a riavere dallo Stato delle fusioni in bronzo titolato, identiche per forma e peso a quelle requisite il 10.7.1941.
La benedizione dei sacri bronzi, prima di essere ricollocati al posto dove furono tolti, è avvenuto oggi stesso nella piazzetta antistante la Chiesa di S. Maria dei Raccomandati.
Il battesimo della campana che le è stato imposto il nome dell’Angelus è stato impartito dal parroco di Orvinio Mons. Sarrocco don Salvatore; madrina è stata Suor Anna delle Figlie della Croce, Superiora del Convento di Orvinio. E’ stata ricollocata sulla sua torretta alle ore 12 del 17.12.1949 parlando per la prima volta con la sua bronzea voce, alla popolazione di Orvinio che attendeva ansiosa. La nuova campana pesa Kg.94; nella parte esterna, al centro è riprodotta l’effigie della Madonna SS.ma dei Raccomandati che sormonta l’Altare Maggiore della prossima Chiesa omonima, con sotto la scritta della vecchia campana requisita e cioè AVE MARIA GRAZIA PLENA A.D. MDCVIII.
In alto verso la cupola della stessa cinque teste di cherubini alati con festoni.
In basso presso la bocca si legge:
ABLATUM TEMPORE BELLI A.D.MCMXL –MCMXLV –RESTITUTUM PUBLICO SUMPTU A.D. MCMIL (cioè 1949)
Qualche giorno dopo sono stati messi a posto anche i nuovi timpani dell’orologio sovrastante a Porta Romana.

21 Novembre 1949
Il Municipio di Orvinio con ordinanza n.59 del 21.11.49 a firma del sindaco dott. Valentino Tani ha ingiunto alla popolazione di provvedere entro dieci giorni alla rimozione delle salme, sepolte entro la Chiesa di S.Maria del Piano e tumularle nel nuovo Camposanto in voc. Petriane nelle rispettive tombe di famiglia, trascorso detto termine il Comune ha provveduto a proprie spese a trasportare tutte le ossa entro l’ossario comune nel nuovo Camposanto. Provvedimento meritorio.

Luglio 1951
La ditta F.lli Lorioli di Milano ha coniate diecimila medaglie da diciotto millimetri di diametro in onore della Madonna SS.ma di Vallebona con la scritta “Madonna SS.ma di Vallebona” mentre sul rovescio è riprodotto il monte di Vallebona con il sovrastante celebre Santuario e la grande torre nel prossimo orto dell’eremita con la leggenda “Santuario di Vallebona – Orvinio”.
Per averne qualche esemplare occorre rivolgersi al Parroco di Orvinio mediante una libera offerta a beneficio del Santuario stesso.

Estate 1951 e seguenti
Per allargare di alcuni metri il viale Roma dalla Piazza Garibaldi al piazzale antistante la Chiesa di S.Giacomo, è stato effettuato il taglio del monte e con il materiale di risulta si è colmata la conca delle Canapine (ex cava di argilla per le prossime antiche fornaci di laterizi) contigue al viale Roma; con tali movimenti di terra ne è risultato un immenso piazzale molto comodo per effettuarci delle partite di calcio, per effettuarvi la trebbiatura del grano e per il riposo dei numerosi villeggianti.
Nello stesso periodo sono stati rinnovati i selciati con le relative cordonate nell’intera Salita del Borgo, della cordonata che immette dal Corso Vanenti alla Porta dell’Arco e riattamento della maggior parte delle strade e piazze dei Rioni Casalino, Torricello e S.Giacomo, nonché la sistemazione del viale della Passeggiata con speciale riferimento al Torrione; però, a mio parere, il lavoro non è stato eseguito a regola d’arte e certamente i nuovi selciati resisteranno breve tempo, al confronto di quelli disfatti, che hanno funzionato egregiamente per un periodo ultra secolare.
Sempre nello stesso periodo di tempo è stato rabberciato il muro di sostegno del Piazzaletto antistante la Chiesa di S.Maria dei Raccomandati; peraltro mentre prima del muro di sostegno non esisteva alcun riparo, ora sono stati eretti all’ingiro alcuni pilastri in pietra collegati da canne metalliche a coronamento di tutta l’estensione del muro di sostegno stesso.

1 gennaio 1951
Sono stati avulsi dal Mandamento di Orvinio ed aggregati a quello di Rieti i seguenti Comuni con le rispettive frazioni:
- Collalto
- Collegiove
- Marcetelli
- Nespolo
- Paganico
solo per la Giurisdizione degli Uffici finanziari e cioè Agenzia delle Imposte Dirette ed Ufficio del Registro, mentre per quella della Pretura, appartengono sempre a quella di Orvinio.

18-22 febbraio 1953
Da testimoni oculari ho appreso i particolari del crollo totale dell’intera facciata principale della Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano.
Il 18 febbraio 1953 inaspettatamente è crollata la parte anteriore del muro della zona superiore comprendente le opere d’arte della facciata stessa e cioè il coronamento del timpano, il rosone, la finestra, le due lesene con i rispettivi capitelli corinzi ed i sei archetti con le due lapidi.
Verso le ore 11 della successiva domenica 22 febbraio, con grande fragore improvvisamente rovinava il resto della facciata, fino alle fondamenta, compreso il portale; rinuncio a descrivere il miserando spettacolo che si è presentato ai miei occhi allorché mi sono recato a vedere tanta rovina. Pertanto mi sono subito precipitato alla Sovrintendenza Monumenti e scavi del Lazio, in Piazza S.Ignazio, informandola del disastro capitato a S.Maria del Piano; infatti una commissione di ingegneri della stessa Sovrintendenza da me sollecitati, effettuava il 10 marzo 1953 un sopraluogo, redigendo un’ampia relazione per il superiore Ministero della Pubblica Istruzione.
Il 17 marzo 1953 riunione nel palazzo comunale di Orvinio dei rappresentanti della suddetta sovrintendenza, dell’Intendenza di Finanza di Rieti e del sindaco di Orvinio professore Goffredo Liguori per concordare la cessione gratuita di tutto il complesso di S.Maria del Piano, dal Comune di Orvinio verso lo Stato Italiano, giusta Deliberazione n.4 del 30 aprile 1953 del Consiglio Comunale di Orvinio, debitamente approvata dalla Autorità Tutoria; in detta Deliberazione il Comune di Orvinio ha posto a suo carico le spese di registrazione dell’atto di cessione.
Nel frattempo, in seguito al mio personale interessamento, avendo ottenuto dalla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti presso il Ministro della Pubblica Istruzione, un primo stanziamento di fondi sul bilancio 1953 di detto Ministero, nella misura di cinque milioni di lire, ai primi di giugno 1953 infatti si sono iniziati i tanto sospirati lavori di restauro cominciando dalla torre (vedi fig.22 e 23 a pag.62 A) campanaria .
I lavori saranno lunghi e pazienti e speriamo di vedere presto l’opera compiuta in modo che la bella e importantissima Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano, vanto di Orvinio e dell’intera Sabina, torni a splendere quale fulgida gemma, del suo antico splendore.


S. Maria del Piano dopo il crollo della facciata della Chiesa avvenuto il 18 e 22 febbraio 1953.






















S. Maria del Piano dopo il crollo




















Giugno 1953 – Inizio dei lavori di restauro della torre Campanaria di S. Maria del Piano













L’Osservatore Romano – 24 Dicembre 1954

Il restauro al campanile di S. Maria del Piano in Orvinio

Vuole la tradizione che il complesso abbaziale di S. Maria del Piano nei pressi di Orvinio sia stato eretto dall’imperatore Carlo Magno in segno di gratitudine alla Vergine per avere riportato in quei luoghi una eccezionale vittoria sui Saraceni nella marcia da Ancona verso Roma dove lo attendeva la solenne incoronazione in S. Pietro. Pur prestando alcuna fede a quanto narra la leggenda fiorita in una regione che pur vede nella sua storia l’apparizione dei Franchi, non si può fare a meno di constatare elementi ed esemplari stilistici nella costruzione dell’abbazia, che di molto si avvicinano al periodo approssimativo narrato nella leggenda e fanno datare almeno in parte l’abbazia e la chiesa con la torre campanaria ad età anteriore all’XI secolo.
Comunque il primo documento riguardante S.Maria del Piano, risale al 1015 e ricorda come dei magnati del luogo donarono a Farfa un territorio della Sabina “in loco qui nominatur ad illa plana, ubi est aedificata ecclesia vocabulo Sancta Maria”.
L’importanza dell’abbazia toccò il punto massimo nel pieno medioevo e quindi cominciò a declinare, subito dopo il Rinascimento di grado in grado finché fu abbandonata e, nel 1869, ceduta al Comune di Orvinio, che vi creò un piccolo cimitero.
Attraverso vari secoli di completo abbandono la struttura muraria dei tre nuclei subì ingenti danni che culminarono mesi or sono con il crollo in due tempi della facciata della Chiesa bellissima nello stile romanico abruzzese con la monofora istoriata sottostante al rosone e con il portale quattrocentesco sovrapposto in un secondo tempo allo stile iniziale.
Negli ultimi tempi l’unico elemento che conservava una certa integrità era il campanile. Lesioni longitudinali per tutta la sua altezza ne insidiavano la stabilità e fecero decidere il prof. Ceschi, Soprintendente ai Monumenti del Lazio, ad iniziare il restauro del superstite avanzo di quella che fu una potente e ricca abbazia.
La direzione del lavoro venne affidata all’ing. Giovanni di Geso. Dopo aver liberato la base del campanile dalla folta vegetazione selvatica abbarbicata alle mura e dopo aver raccolto e selezionato il materiale giacente all’intorno e caduto dalla torre stessa, si approntò un robusto ponte di servizio, tutto intorno al perimetro del campanile ed avente funzione, insieme a sei cerchiture in ferro alternate fino alla sommità della costruzione, di sostegni di sicurezza nel caso di eventuali movimenti di assestamento del campanile.
Tali mosse di assestamento si temettero allorché fu liberato l’interno della torre dal materiale e dai detriti della copertura e a maggior sicurezza furono operate nell’interno sbadacciature in considerazione anche della totale polverizzazione della malta fra i conci e quindi della conseguente maggiorata sensibilità dei muri a pressioni esterne ed interne. Fu ripresa poi l’opera muraria dei quattro piloni del campanile, due dei quali presentavano un notevole fuori piombo. Nel delicato lavoro fu impiegato tutto il materiale originale rinvenuto ai piedi della torre campanaria e rappresentato nella sua gran parte da mattonati e conci romani, alcuni dei quali recanti incise scritture indubbiamente facenti parte di antiche lapidi scolpite nel periodo romano.
Successivamente si provvide a disostruire le aperture del campanile, le bifore e le trifore, ricollocando al proprio posto le originali colonnine e i capitelli rinvenuti nel materiale caduto e accumulatosi a terra e a ricostruire il tetto completamente mancante, a quattro pioventi, interpretando l’andamento di tutto lo stile. In questo modo nel novembre 1954 si pose termine al restauro del campanile iniziato nel giugno del 1953, ridonando allo antico monumento le suggestive caratteristiche proprie della sua epoca.
Della secolare abbazia benedettina, al di fuori del campanile non rimane che un insieme di mura decrepite e in rovina nell’insieme del quale a stento si rintracciano i fondamentali motivi architettonici. La torre campanaria restaurata e rinnovata innalza i suoi contorni precisi che si stagliano, alla base, sull’incerto biancore delle rovine.
E l’antica abbazia attende che anche per lei giunga il giorno della miracolosa resurrezione per poter ridonare al campanile la completezza originaria e per poter ancora per molti decenni tramandare ai posteri la tradizione che è metà storia e metà leggenda del re dei Franchi, Carlo Magno.

21 - Vedute varie di Orvinio

Capitolo 20 - Chiesa S.Maria Raccomandati (continuazione)

A pag.143 e seg. del libro “Apparato Minorico della Provincia di Roma” R.P. Maestro F. Bonaventura Theuli di Velletri – Anno 1648 – si legge:
Del Convento di Canemorto . Capitolo XIII.
Il Convento di Canemorto è sotto il titolo di S.Maria de’ Raccomandati, fuora della Terra, congiunto alle Mura di essa; era Hospidale, fu dato alla Religione, e per essa al P.F. Massimo Pirchio dal Borghetto Diocesi di Civita Ducale, ma perché spettava al Vescovo Cardinal Sabinense a prestarvi il consenso, fu necessario ricorrere alla di lui benignità per ottenerlo, quale s’ottenne nel MDLXXXII (1582) dal sig. Alessandro Lana Vicario Generale dell’Eminentissimo Cardinal Gravellano Vescovo Sabinense, come apparisse per Breve, che comincia: Reverend in Christo Patribus Ministro Generali Ord. S. Franc. Conventualium, Provinciali Urbis, ac Custodi seu Guardiano, et Fratibus num existentibus in Ecclesia Santae Mariae de’ Raccomandatis extra Castrum Canis Mortui, Sabinensis Diocesis salutem in Domino sempiternam. Pro parte vestra nobis expositum fuit, quod alias, annis elupsis Communitas, et homines dicti Castri et Dat Romae ex Aedibus nostrae Residentae sub an. 1582. 9. Non presentib. DD Nicolao Scaglioni Canonico Sabinensi, et Dominco Gomez Canonico Turulen.
Registrato da Not. Porfirio Corsetto di Aspra, il quale registra ancora la concessione, e facoltà data al detto Vicario dell’istesso Eminentissimo di conferire, e concedere Beneficij, Cure, Chiese, Collegiate, e altre cose del Vescovato a chi li pareva, sotto l’ultimo di Maggio MDLXXIX (1579).
Con questa facoltà e con il vigore di tal Breve se ne pigliò di nuovo il possesso per mezzo della Communità a’ 15 di Decembre anno come sopra, il che apparisce per l’infrascritto Istrumento.
In Dei nomine Amen. Anno Indictione et Pontificatus Sanctiss. D N Gregorij PpXij, anno undecimo, die vero 15 Decembris. Ego Dominicus de Fabris de Canemortuo publicus Apostolica auctoritate Notarius et vigore retroscrittarum literarum requisitus a’ R.PF. Maximo Pirchio de Burghetto Civitatis Ducalis in Regno Neapolitano Religionis Conventualium S. Francisci me una cum Marco Antonio Tiberijm Mattheo Francisci et Marco Francursii, mascarijs, ac testibus infrascriptis persolaniter contuli ad Ecclesiam S.Mariae de Raccomandatis sitam extra Castrum Canis Mortui predicti et aperta I anna dictae Ecclesiae Cum Damorum ipsius adiunctarum, emundem R.Patrem introducendo, et genuflexo, facta debita adoratione ad Altare, ut decet, ipsum nomine et pro sacra Religione S. Francisci Conventualium etc.. presentibus etc..- quali scritture in un sol foglio di Carta pergamena si conservano nel nostro Convento.
Si pigliò dunque il possesso non solamente della Chiesa, ma ancora d’alcuni beni stabili a quella annessi.
La Chiesa è grande, bella con organo, ben tenuta. V’è un’Immagine antica della Madonna sotto nome de’ Raccomandati, la cui festa si celebra il giorno dell’Assunzione di Nostra Sig.
Dietro l’Altare Maggiore vi sta una Cappella abbellita da’ Signori Muti con la loro sepoltura, nella quale sono seppelliti alcuni di questa nobile famiglia, per essere stati Duchi di questo Castello, e di tutta la Valle Mutia.
Nell’entrare in Chiesa vi sono, una per parte, nel muro le due seguenti memorie in marmo. (non è marmo, ma pietra, forse botticino) (vedere figura 3 a pag.16B e la descrizione a pag.14C, nonché fig.4 a pag.16B e la descrizione a pag.14 B del presente).
Questo luogo è piccolo senza Claustro, povero, sta però in bel sito, godendosi in esso la veduta di tutta Valle Muzia e di tutte le Terre, e Castelli delle sue Colline; non vi sono stati padri graduati, solamente il P. Fra’ Francesco Zoppi cantore buono, che è stato Vicario per molti anni ne’ Conventi di Fiorenza, di Roma e d’Assisi, e vivente v’è il P. Fra Domenico Iannelli sudetto.

Capitolo 19 - G. G. Frezza (incisore in rame)

Giovanni Girolamo Frezza nacque in Orvinio nell’anno 1659 e morì nel 1741 (vedasi nota a pagina 37 B del presente, in fondo alla descrizione)
Compì i suoi studi in Roma e a giovane età divenne celebre incisore in rame.
Risiedeva nell’Urbe e lavorò indefessamente fino a tardissima età.
Dalla superba incisione su lastra in rame, levigatissima (delle dimensioni di centimetri 21,50 X 19 di superficie incisa compresa la cornice, riproducente fedelmente le angeliche sembianze della Madonna SS.ma di Vallebona) (Santuario esistente nel territorio di Orvinio) incisione da me più volte ammirata e gelosamente conservata dal parroco della Chiesa Abbaziale di S. Nicola di Bari in Orvinio, si rileva che il Frezza la incise per una devozione in Roma nell’anno 1740 alla bella età di anni 81.
Nella Galleria Corsini, sita in Roma via della Lungara al n.10 piano II – Gabinetto delle Stampe, esiste una statua tratta da un incisione del Frezza, raffigurante un’allegoria, sulla quale oltre al nome e cognome del Frezza ed all’anno 1727, è inciso dall’autore quanto segue “Per acquisti rivolgersi dal Frezza in faccia alla Chiesa degli Scozzesi vicino a Piazza Barberini”
Detta stampa è conservata nel volume 57 n.12 al n.116.642.
Nello stesso ufficio si conserva un libro dell’anno 1837, classificato Magler – Volume n.4; ebbene a pagina 494 e 95 vi è descritta la biografia del Frezza e le incisioni da lui eseguite; il libro è scritto in tedesco.
Di fronte alla porta della Chiesa degli Scozzesi situata in Via delle Quattro Fontane (in prossimità di Piazza Barberini) vi è il portone n.10; dobbiamo ritenere pertanto che ivi era il domicilio del grande artista scomparso da me ricordato nell’Inno a Orvinio (pag.35).
In seguito ad indagini da me espletate, la casa ove ebbe i natali il Frezza, ritengo sia quella in via Manenti al 1° e 2° piano dei civici n.147-149-153 e 155, casa addossata alla Porta Vecchia, questa ora quasi totalmente demolita per allargarne la strada e prospicente la Piazza del Sole, già Piazza del Casalino.
Questo grande figlio di Orvinio attende sempre di essere degnamente onorato; speriamo che qualcuno se ne ricordi per il prossimo terzo centenario della sua nascita che ricorre nel 1959.
Quasi tutte le opere del Frezza sono riproduzioni di pitture e sculture celebri.
Presso la Regia Calcografia di Roma, sita in via della Stamperia, primo piano, sono conservati i seguenti rami incisi dal Frezza:

n. di
Quantità


classifica
dei rami
Specifica del soggetto
Annotazioni

incisi


907
1
Sacra Famiglia





1112
(?)
Soggetti Mitologici (riproduzioni da pitture
Dal catalogo che il gruppo si compone di
esistenti nel Palazzo Giustiniani in Bassano
20 rami incisi da vari artisti fra i quali il
Frezza al quale ne va attribuita solo una
parte

1335
3
S. Andrea - S. Giovanni - S. Matteo
Riproduzione statue degli Apostolo esi-
stenti nella Arcibasilica di S.Giovanni in
Laterano

1338
8
Tavola 34 - Minerva medica
" 35 - Venus Comam Ornans
" 44 - Fortuna
" 47 - Melpomene
" 48 - Thalia
" 61 - Filosofo
" 77 - Concordia
" 83 - Genio della Biga
1602
1
S. Giuseppe Anchieta
Presso la Galleria Corsini sita in Roma via della Lungara n.10 piano II (Gabinetto delle Stampe) sono conservate le seguenti stampe, tratte su incisioni del Frezza, ma si ignora dove siano conservati i relativi rami incisi dal grande Maestro.

Classifica

Quantità delle
Note
Volume
n.
Specifica del soggetto
incisioni

cartella 630
44
Papa Clemente XI
1
Fondo Nazionale
1002
14568 (147)
Cardinale Fondodarius
1

1005
14571(37)
" "
1

"
14571(65)
" Emericus Czacki
1

26M19
4639
Soggetto mitologico
1

27M18
10140
Francesco Albani
1

"
10141
Soggetto mitologico
1

"
10142
" "
1

"
10143
" "
1

"
10144
" "
1

"
10145
" "
1

"
10146
" "
1

"
10147
" "
1

"
10148
" "
1

"
10149
" "
1

"
10150
" "
1

"
10151
" "
1

"
10152
" "
1

"
10153
" "
1

"
10154
" "
1

"
10155
" "
1

"
10156
" "
1

57N12
116596
" "
1

"
116597
" "
1

"
116598
" "
1

"
116599
Annunciazione di Maria Vergine
1

"
116600
Natività di Gesù Cristo
1

"
116602
Gesù presentato al vecchio Simeone
1

17N12
116603
Gesù consegna le chiavi del Paradiso a S.Pietro
1

"
116604
Apparizione dello Spirito Santo agli Apostoli congregati
1

"
116605
S.Filippo Neri orante davanti al Crocefisso
1

"
116606
La Vergine che allatta il Bambino Gesù
1

"
116608
Sacra Famiglia con S.Giovanni Battista
1

"
116609
Sacra Famiglia con S.Giovanni Battista
1

"
116610
Assunzione della Beata Vergine
1

"
116611
Assunzione della Beata Vergine
1

"
116612
La Vergine col Bambino
1

"
116613
Fatto sacrilego davanti alla Madonna del Pianto
1

"
116614
S.Pietro converte le genti
1

"
116615
Santi in preghiera
1

"
116617
S.Andrea
1

"
116618
S.Matteo
1

"
116619
S.Giovanni da Capistrano
1

"
116620
Venerabile Nicola de Sios
1

"
116621
S.Pantaleo
1

"
116622
S.Andrea Corsini
1

"
116623
S.Agostino
1

"
116624
Santo con Angeli
1

"
116625
Ascenzione di Gesù Cristo
1

"
116626
Assunzione di Maria Vergine con religiosi
1

"
116627
S.Giovanni di Dio
1

"
116628
S.Francesco di Paola
1

"
116629
S.Francesco di Paola
1

Classifica

Quantità delle
Note
Volume
n.
Specifica del soggetto
incisioni

17N12
116630
S.Ignazio di Loyola
1

"
116631
Riproduzione di un Altare con Pala
1

"
116632
S.Vincenzo de Paoli
1

57N12
116633
S.Felice da Cantalice
1


116634
S.Andrea Avellino
1


116635
Altare di S.Luigi Gonzaga
1


116636
Santo in mezzo a tribù barbare e belve feroci
1


116637
Venerabile Fernus Dei Galeatius
1


116638
Due Venerabili
1


116639
Due Venerabili
1


116640
Adorazione della Sacra Famiglia
1


116642
Allegoria
1


116643
Padre Eterno con Angeli
1


116644
Adorazione della Vergine Assunta in cielo
1


116645
S.Giuseppe con la Vergine
1


116646
Sacra Famiglia e Angeli
1


116647
S.Margherita da Cortona
1


116648
Beata Caterina de Riccijs
1


116649
Piede destro di S.Teresa di Gesù
1


116650
S.Giuliana Falconeria
1


116651
Venerabile Battista Vernazza
1


116652
Scena Mitologica di Roma antica
1


116653
Giudizio di Paride
1


116655
Soggetto mitologico
1


116656
Soggetto mitologico
1


116657
Trio Austriaco
1


116658
Statua del Silenzio
1


116659
Statua di Antinoo
1


116660
Centauro
1


116661
Centauro
1


116662
Isis
1


116663
Archigalli
1


116664
Vaso artistico
1


116665
Riproduzione della Macchina eretta sulla piazza di Castel Gandolfo il 17 giugno 1717

116666
Riproduzione della facciata del Duomo di Orvieto
1


116667
Stemma Pignatelli
1


116668
Paesaggio (le Amerelle)
1


116669
Papa Clemente XI
1


116670
Papa Benedetto XIV
1


116671
Giovanni Fontana
1


116672
Ritratto di Prelati e Gentiluomini
1


116673
Ritratto di Prelati e Gentiluomini
1


116674
Ritratto di Prelati e Gentiluomini
1

Poiché risulta chiaramente che il Frezza è stato un artista molto prolifico, si deve ritenere per certo che oltre al rame conservato presso la Parrocchia di Orvinio ed alle incisioni sopra elencate, ne esistano delle altre presso Gallerie pubbliche e private.
Nella Biblioteca Sarti sistemata al secondo piano del Palazzo della Accademia di S.Luca situato nella piazza omonima prossima alla fontana di Trevi in Roma, ho consultati i seguenti libri dove si fa menzione del Frezza:

1) Allgemeines Lexikon der Bildenden Kunstler – volume XII, stampato Leipzig-Verlag Von E.A.- Seemann – anno 1916 – a pagina 449 si legge: nato a Canemorto, località vicino a Tivoli, l’anno 1659 e morto nel 1741; segue un elenco delle opere incise dal Frezza. Fra queste, risulta che nell’anno in cui morì (e cioè 1741) eseguì delle incisioni bulino ed acquaforte che si conservano agli Uffizi di Firenze.
2) Notizie Istoriche degli Intagliatori di S.Giovanni Gori Gandellini – Tomo II – Siena 1808. A pagina 43-44 e 45 oltre ad una descrizione delle opere da lui incise si legge: Apprese i principi del disegno da Arnoldo Van Vestherant, fu di vivace ingegno e di idee vaste; ha lasciato una infinità di stampe intagliate da se a bulino ed acquaforte, nelle quali si ammira la perfezione del disegno e la dolcezza del taglio che innamora gli amatori dell’arte onde con ragione fu stimato uno dei primi intagliatori del suo tempo.
Nota Bene: Ritengo che il decesso del Frezza sia avvenuto in Orvinio per i seguenti motivi: Poiché Roma era la sua residenza, se la morte l’avesse raggiunto in detta città, l’avvenuto decesso sarebbe stato trascritto sul Registro Atti di Morte della Parrocchia nella cui giurisdizione era compresa l’abitazione del Frezza.
Non avendo potuto individuare con certezza tale Parrocchia, sono stato costretto a recarmi all’Archivio Vaticano, ove ho attentamente e scrupolosamente consultati i registri degli Atti di Morte dell’anno 1741 di tutte le Parrocchie di Roma, ma non ho trovato alcuna traccia della morte del Frezza.
Escludendo Roma, quale luogo dove probabilmente avrebbe potuto avvenire il decesso, perché, penserà il lettore dovrebbe essere Orvinio?
Ora vedremo. Il Frezza, nell’anno 1740, avendo raggiunta la bella età di anni 81, forse presentendo l’approssimarsi del suo trapasso, decideva di lasciare alla sua patria un ricordo in onore della Madonna SS.ma di Vallebona, incidendone le Sacre Sembianze su di una levigatissima lastra di rame.
Lo stupendo lavoro venne eseguito per sua devozione in Roma nell’anno 1740 (certamente sullo scorcio di detto anno, perché è assodato che il Frezza ha lavorato a bulino ed acquaforte anche al principio del 1741, anno della sua morte). La splendida incisione è gelosamente conservata nella Parrocchia della Chiesa di S.Nicolò di Bari in Orvinio.
Se la detta lastra di rame è stata incisa in Roma, come risulta, come è giunta ad Orvinio in quell’epoca che non esistevano né aerei, né auto, né ferrovie e nemmeno strade carrozzabili, mentre non esisteva neppure allo stato intenzionale un sia pur rudimentale servizio postale o di corrieri?
Certamente il Frezza, che aveva sulle spalle 82 primavere, presentendo prossima la sua fine, abbandonò Roma, portando seco la celebre incisione in parola, per tornare alla sua Orvinio ove morì lo stesso anno 1741.
Disgraziatamente la Parrocchia di Orvinio in quell’epoca non aveva ancora istituito il Registro degli Atti di Morte, iniziato solo verso la fine del 18° secolo.




Continuazione (Da Orvinium a Orvinio)

Accertamenti successivi.

In seguito a metodiche ricerche eseguite su una copia litterale del famoso Regesto di Farfa, ho rilevate le seguenti notizie: In tutti i seguenti documenti in esso trascritti e cioè:
- Documento 1016 – Anno 1075 . Volume V – Pagina 19
- “ 1045 - “ 1080 . “ “ “ 47
- “ 1095 - “ 1084 . “ “ “ 90
- “ 1255 - “ 1090 . “ “ “ 235
- “ 1205 - “ 1110 . “ “ “ 198

redatti, come vedesi, fra gli anni 1075 e 1110, ricorre costantemente il nome di Canemorto, mentre in quelli quì sotto elencati, che vanno fra gli anni 1012 e 1062, ricorre quello di Malamorte:

- Documento 450- Anno 1012 – Volume III - pagina 163
- “ 633 “ 1012 “ IV “ 31
- “ 635 “ 1012 “ IV “ 32
- “ 572 “ 1017 “ III “ 279
- “ 518 “ 1019 “ III “ 229 (*)
- “ 522 “ “ III “ 231
- “ 521 “ 1025 “ III “ 230
- “ 573 “ 1032 “ III “ 280
- “ 567 “ 1036 “ III “ 274
- “ 996 “ 1036 “ IV “ 375
- “ 570 “ 1038 “ III “ 277
- “ 776 “ 1044 “ IV “ 184
- “ 938 “ 1062 “ IV “ 332


Pertanto deve ritenersi che il nome Orvininium fu deposto e sostituito con quello di Malamorte probabilmente fra il 917 d.c. (anno in cui fu costruita la Chiesa di S,Maria del Piano) e il 1012 (vedasi documenti 450-633 e 635 del Regesto; fra il 1062 e 1075 (documenti 932 e 1016 dello stesso Regesto) quello di Malamorte con Canemorto ed infine questo con quello di Orvinio, ripristinato con Regio Decreto del 29 marzo 1863.
A titolo di curiosità aggiungo che presso l’Archivio Storico Capitolino, collocato al primo piano del Palazzo dei Filippini in Piazza della Chiesa Nuova in Roma, trovasi l’antico archivio degli Orsini, già signori di Orvinio.
In esso si conserva una pergamena del 21 novembre 1378, riguardante la vendita di un pezzetto di terra in territorio di Canemorto in vocabolo “le Coste” fatta da Giorgio di S.Alberto a favore Giovanni Di Pietro, per la somma di otto fiorini d’oro – Notaro Giacomo di Carluccio di Canemorto – Tale pergamena ha sullo schedario il seguente riferimento: II A VII – 27.

(*) nel documento 518, alla parola Malamorte, vi è una chiamata in fondo alla pagina 229 che riporta integralmente: In una postilla marginale scritta per quanto pare verso il principio del secolo XVII, si legge: puto canem m(or) tuum, et non...Le lettere tra parentesi mancano nel testo perché risecate quando il codice fu rilegato.

Capitolo 18 - Memento Homo

Le donne Sabine rapite al “Ratto”, secondo Dionigi, furono 683 (seicentottantatre) compresa la bellissima Ersilia riservata sposa a Romolo, primo Re di Roma.
I Sabini, decisi a lavare nel sangue l’onta subita, si prepararono in silenzio alla guerra e l’anno seguente al ratto delle Sabine, avvenuto sotto la protezione del dio gonfo nella Valle Murcia e precisamente dove attualmente esiste il Circo Massimo, guidati dal Re dei Sabini, Tito Tazia, suocero del secondo Re di Roma, Numa Pompilio, mossero in battaglia contro i Romani giungendo fino alle mura della Città Quadrata, superando persino la Porta Mugonia (ora scomparsa) situata in prossimità dell’Arco di Tito.
Per intervento personale della bellissima Ersilia la guerra cessò e fu fatto un patto di alleanza fra Romolo e Tito Tazio, rispettivamente Re dei Romani e del Popolo Sabino.

Il motto abbreviato S.P.Q.R. è nato in Sabina che voleva dire “Sabinis Populis Qui Resistet?” che voleva dire “Ai Popoli Sabini chi resisterà?”.
Fu risposto dai Romani “Senatus Populusque Romanus” che voleva dire “Il Senato e il Popolo Romano”.
Quindi fu cambiato in seguito in S.P.Q.S. significante “Il Senato e il Popolo Sabino”.

Capitolo 17 - Monte Castellano

La tradizione vuole che al vertice del monte Castellano, a tergo del vecchio paese di Vallebona dove esiste la chiesa di Vallebona esistesse un paese.
Nella parte più alta del monte stesso, in una posizione dominante e suggestiva, di rimpetto alla località Pratarella, si nota una specie di grande piazza abbastanza piana.
Esaminando bene la configurazione del terreno si è portati a credere che tale spianata non sia proprio naturale, ma peraltro fatta ad opera dell’uomo.
Da molti abitanti di Orvinio, concordi nell’asserzione, ho sentito dire che ivi esistono anche dei ruderi in più punti e bene conservati quali avanzi residuali dell’antico abitato.
Tale fatto confermerebbe la tradizione dell’esistenza del paese stesso e che probabilmente si chiamasse col nome di “Monte Castellano” o semplicemente “Castellano”.
Da un sopraluogo da me ivi eseguito non ho rinvenuta alcuna traccia di ruderi più o meno cospicui.
Forse qualche avanzo di muri ancora superstiti ci sarà senza dubbio come mi viene assicurato, ma certamente sarà rimasto interrato oppure sarà nascosto dalla selvatica vegetazione.
Dall’insieme del luogo si può ritenere che fosse di proporzioni modeste, molto più piccolo di Vallebona e forse anche di Castello Sinibaldi.
La sua origine e la sua distruzione si perde nella notte dei tempi.

Capitolo 16 - Castello Sinibaldi

In località “Castellu“, soprastante ad un mulino idraulico con due macine per cereali portante il nome della stessa località ed in prossimità del vocabolo Vigne Secche, su di un amena posizione di rimpetto alla località denominata “Selva“ fronte a Montorio in Valle, sorgeva il paese di Castello Sinibaldi, comunemente nomato “Castellu“.
Ignorasi la sua data di nascita, quando da chi e come fu distrutto, nonché l’epoca in cui fu abbandonato dai suoi abitanti.
Attualmente sono bene conservati gli avanzi di due torri, poste certamente a difesa della porta del paese (forse l’unica che esistesse) e nella parte che guarda verso Orvinio.
Quà e là esiste ancora qualche piccolo rudero della cinta e dei fabbricati scomparsi.
Allo stato attuale non è possibile stabilire esattamente il suo perimetro, però con un pò di buonavolontà si riesce ad intuirlo.
Il paese deve ritenersi di epoca medioevale e certamente dopo il mille dell’era volgare e la sua popolazione contava sulle cinquecento anime.
Circa quaranta anni or sono il proprietario di quel terreno certo Ragazzoni Vincenzo di Orvinio, soprannominato “Lu Rusciu”, perché di capigliatura bionda, col miraggio di poter eventualmente rinvenire un qualche tesoro, con molta fatica riuscì ad aprire un piccolo varco attraverso le spesse e poderose mura della torre di sinistra entrando e precisamente quella a monte della gemella e che è più grande e più alta dell’altra.
Praticato un piccolo pertugio, attraverso il foro si calò nell’interno della torre ove sul fondo di essa trovò solo una buona quantità di grano ma tutto bruciacchiato ed annerito forse dal fumo.
Da tale scoperta si deve arguire che l’abitato di Castello Sinibaldi fu distrutto quasi certamente da un incendio e gli abitanti scampati furono costretti a rifugiarsi in altri centri vicinori.
La famiglia Biscossi di Orvinio sembra che provenga da Castello Sinibaldi.
Mi è stato assicurato da più persone che attualmente in località Vignesecche, prossime all’abitato di Castello Sinibaldi, località quanto mai pittoresca e bene situata, con ottima terra per buone coltivazioni, esistono in vari punti alcuni mucchi di sassi, comunemente chiamati “maceruni”.
Su di essi sono cresciuti molti rovi e piante selvatiche che li ammantano completamente; ebbene in mezzo a quella spontanea vegetazione esiste e vegeta ancora qualche pianta di vie e di fichi.
Tali piante non sono certo nate sole ma saranno una riproduzione delle loro antenate poste a dimora per mano dell’uomo e pertanto si deve ritenere per certo che tali piante siano lo sparuto residuo dei vigneti ivi esistenti piantati dai Castellani.
Di fronte a Castello Sinibaldi dalla parte della torre suddetta esiste la località denominata “Selva”.
Il terreno ivi è cosparso di una miriade di pezzi di tegole romane: mattoni e embrici di terracotta.
La tradizione vuole che colà esistesse una fornace di laterizi in terracotta; io ritengo che ivi invece esistesse la necropoli di Castello Sinibaldi perché è alle falde del monte dove esisteva il paese distrutto.
Basterebbe fare uno scavo con metodo di appena qualche metro di profondità e sono sicuro che il mistero sarebbe squarciato e la realtà mi darebbe certamente ragione.

Notizie accertate posteriormente: Dai seguenti documenti trascritti nel Regesto di Farfa, risulta che fra gli anni 1036 e 1090 d.c. esisteva il castello o rocca Senebaldi o Sinebaldo (da non confondere con Rocca Sinibalda situata verso Rieti) perché la sua ubicazione è posta in prossimità di Orvinio, Pozzaglia e il fiume Turano:
- Documento 567 – anno 1036 –Volume III – pag.274.
- Documento 1095- anno 1084 – Volume V - pag.90
- Documento 1255 – anno 1090 – Volume V – pag.235.

Capitolo 15 - Caduta di Meteoriti.

Ricordo che il Prof. Luigi Alessi di Orvinio, morto alcuni anni or sono e sepolto al Cimitero delle Petriane, ebbe a raccontarmi il seguente episodio:
Un giovane pastore di Orvinio, tale Gioacchino figlio di Pietro Riscossi un giorno trovandosi in un prato, in località Pratogrande (volgarmente Praturanne) intento a far pascolare il proprio bestiame.
Benché fosse una bella giornata col sole splendente ed il cielo terso privo di qualsiasi nube, tutto ad un tratto la sua attenzione fu richiamata da uno strano rumore simile a quello prodotto dall’imminenza di un grande temporale.
Incuriosito per tale fatto insolito, tanto più che intorno a lui regnava il silenzio più profondo, pose maggiore attenzione con la speranza di poter scoprire e rendersi conto dell’insolito fenomeno.
Infatti immediatamente dietro a lui sentì il rumore specifico prodotto dalla caduta come di un sasso lanciato con veemenza.
Il Biscossi si voltò istintivamente, ma contemporaneamente quà e là intorno a lui, si verificarono altre cadute come la prima.
Riavutosi dallo spavento provato in seguito all’inspiegabile episodio cui involontariamente era stato spettatore, incuriosito volle fare una accurata ricognizione nei punti dove, come diceva lui, erano caduti dei...sassi.
Con molta fatica riuscì a tirare fuori dal terreno i vari...sassi che, data la veemenza nella caduta, si erano conficcati abbastanza profondi nel prato; li raccolse e la sera tornando ad Orvinio li portò a casa.
Fu informato dell’accaduto il sig.Vincenzo Segni, allora Sindaco di Orvinio, il quale fattosi consegnare tutto il materiale raccolto lo portò a Roma ove fu accertato trattarsi di meteoriti.
Al suo ritorno in Orvinio, assicurò di averli fatti collocare in un Museo della Città Eterna, per essere colà conservati ed ai quali fu imposto il nome di “Orvinite”.
Il fatto è avvenuto verso l’anno 1875.
Quanto suddescritto mi è stato confermato anche dallo stesso Gioacchino Biscossi sprannominato “Lu Vecchiu” morto parecchi anni or sono.
Con un po’ di pazienza i suddetti bolidi potrebbero anche essere rintracciati da una persona di buona volontà.

N.B. In seguito a mie ricerche, ho potuto appurare quanto segue:
La caduta dei suddetti meteoriti avvenne alle ore 5,15 antimeridiane del giorno 31 agosto 1872.
Dal Museo di Mineralogia presso la Regia Università di Roma, esiste un solo frammento (da me esaminato) così classificato: Condrite bronzitica nera – Orvinite – frammento in buona parte incrostato del peso di grammi 710 . Altri tre frammenti di Orvinite si conservano presso i seguenti Istituti:-Museo Mineralogico presso la Regia Università di Torino-frammento del peso di grammi 80.
-Museo Mineralogico presso la Regia Università di Bologna-frammento del peso di grammi 32.
-Museo Civico di Storia Naturale presso la Regia Università di Milano, del peso di grammi 15.
Come vedesi i pezzi raccolti e conservati sono quattro complessivamente; non si sa con esattezza se i bolidi caduti siano stati soltanto quelli sopra elencati, oppure se qualche altro è andato disperso.
Al riguardo se ne sono interessate le seguenti pubblicazioni:
-F. Millosevich – Le Meteoriti del Museo di Mineralogia presso la Regia Università di Roma -Tipografia Bardi – Roma 1928.
-L. Lipoez – Analysem Meteorites von Orvinio – Tscherm – Mineral, III – Wien 1874

Capitolo 14 - Sù e giù per Orvinio

Nel giardino del cav. Uff. Armando Alessi sito al n.43 di via Cesare Battisti (già via Nuova) sopra un’erma di pietra è collocata un’antichissima testa muliebre in marmo bianco di Carrara (fig.122) grande due volte il naturale e forse appartenente a qualche statua rappresentante una divinità pagana e che certamente è proveniente dall’antica città di Orvinium.
Nella stessa via e precisamente al n.41, in un locale di proprietà di Alfonso Scanzani, al posto della soglia è stata collocata una grossa pietra di travertino proveniente dai ruderi del Castello dell’antica città Sabina di Vesbula situata in vetta al monte denominato Morretta o Pietra Demone in territorio di Scandriglia.
Essa fu trasportata e messa dove attualmente è collocata, da Benedetto Taschetti di Orvinio, l’anno 1761; su di essa si legge..OVA CACUNO F.C. (fig.6) il Biondi interpretò per IOVI CACUNO FACIUND CURAVIT, ritenendo ivi la possibile esistenza di un tempio a Giove sul “Cacumen”, vale a dire sulla cima della montagna.
Al n.39 di via Vincenzo Segni esiste un bellissimo portale a pieno centro; lo stipite è formato da pietre che in origine facevano parte di un fregio di trablazione dorica, con metope e triglifi provenienti da qualche importante edificio dell’antica Orvinium.
Al corso Manenti nella casa distinta col n.71 di proprietà di Alessi Mariano esisteva fino a pochi anni or sono, un bellissimo ed antico portale in travertino a forma gotica con sesto acuto.
In seguito ad alcuni restauri, il portale con l’aggiunta di nuove pietre fu trasformato a forma rettangolare.
Le basi, i verticali e la chiave dell’arco del vecchio portale sono state utilizzate a formare la nuova porta, mentre le altre, dai novelli vandali, sono state spezzate per essere utilizzate come pietre comuni nel rifacimento del muro stesso.
Anche questo signore merita di essere incluso nell’elenco dei barbari del bello e dell’arte.
Al portone n.7 di via Vincenzo Segni, appena entrati, guardando sul bel soffitto di legno, si nota la seguente scritta intagliata su di una traversa di legno : IVL-IAC-1651-RES.
Nell’anno 1914, mentre era sindaco di Orvinio il Comm.re Filippo Todini, sopra la Porta Romana (fig.105) veniva sistemato nell’apposita torretta ivi costruita un orologio a doppio quadrante di vetro (fig.106). Per i pesi furono fatte delle aperture verticali alle spallette della porta stessa, dalla sommità dell’arce fino a terra.
Con tale lavoro venivano divelti gli antichi cardini di ferro che avevano sostenuto fino verso la metà del secolo scorso la grande porta di legno ora scomparsa.
Ricordo di avere veduto che i cardini in sito erano cinque, tre a volta interna dell’arco e due a sinistra entrando alla porta; mancava solo quello in basso che forse sarà stato tolto quando fu abbattuta la grandissima porta di legno.
I cinque cardini sono spariti ed anche gli autori di tale scempio, che poteva essere evitato perché si potevano benissimo rimettere a posto dopo praticate le aperture, meritano anch’essi l’onore di essere segnati al libro nero dei barbari del bello, della storia e dell’arte.
L’acqua della Fonte Vecchia che sbocca in prossimità dei lavatoi dietro la grande fontana in via Roma, in prossimità di Piazza Garibaldi (fig.108-109) nasce nei paraggi dell’Immaginetta (fig.117) sul colle della Guardia, ma si ignora il punto preciso della sorgente.
Circa ottanta anni fa, essendosi verificata una dispersione di acqua per guasti prodottisi nella tubatura in terra cotta, fu deciso di fare delle ricerche ed i lavori furono affidati ad un certo Alessi Luigi, soprannominato “Scarpetta”, muratore di Orvinio.
Questi faceva aprire dei cavi alla sommità della via Nuova (ora Cesare Battisti) e riallacciava l’acqua, facendola defluire in un tombino centrale costruito sotto il suolo stradale ed in corrispondenza del civico n.21.
Ad indicare il punto preciso esiste nel muro di cinta del giardino del cav. Uff. Armando Alessi un sasso scoperto risparmiato dall’intonaco; ebbene all’altezza di questo sasso trovasi il tombino di raccolta delle acque.
Nei locali del Municipio di Orvinio si trovano circa un migliaio di mortaretti di acciaio, ivi compresi i cosidetti mortaroni, alcuni dei quali tre o quattro volte più grandi dei normali ed uno di dimensioni ancora più grandi, della capacità di circa tre litri che viene esploso per ultimo a conclusione della sparatoria che si effettua nelle grandi feste e quindi il suo colpo è infinitesimamente più forte dei fratelli minori.
Essi sono di acciaio fuso di un solo pezzo a forma cilindrica con la base un pò più ampia in modo da stare bene in piedi.
Nella parte superiore sono a bocca aperta mentre quella inferiore è a fondo chiuso; un foro di circa 5 millimetri di diametro è praticato nella parte inferiore a circa un centimetro dalla base ed all’altezza dl piano del fondo interno attraversando la parete in senso orizzontale, comunica con l’esterno.
Le loro dimensioni sono circa le seguenti: altezza centimetri dieci, larghezza interna centimetri tre, esterna quattro; alla base centimetri cinque.
Si caricano per circa la metà inferiore con polvere pirica e per il resto calcina compressa a
suono di solenni martellate; fra la polvere e la calcina si introduce un pezzo di carta qualsiasi. Si collocano su una strada o zona periferica (ad Orvinio di solito vengono sparati o in via della Passeggiata da Piazza Girolamo Frezza al Torrione oppure in cima al Colle della Guardia) con il foro rivolto ad una sola parte già prescelta e si pongono ad una distanza che varia da centimetri 50 ad un metro.
Per ciascun mortaretto si mette un pò di polvere pirica a terra in corrispondenza del foro e questo è già stato riempito di polvere stessa, avendo cura che la comunicazione delle polvere esterna con quella interna, attraverso il foro, sia perfetta.
Al momento dello sparo il fuochista munito di una canna lunga circa un metro e venti centimetri, munita di miccia accesa alla estremità inferiore, dà fuoco alla polvere esterna causando lo sparo dei singoli mortaretti alla distanza di qualche secondo uno dall’altro senza interruzione.
Le cosidette batterie (volgarmente battagliere) sono costituite da un numero a piacere di mortaretti (normalmente da venti a cinquanta o giù di lì) vengono collocati in circolo irregolare con il foro rivolto nella parte interna ed alla distanza di circa trenta centimetri uno dall’altro.
Tutti i mortaretti del circolo vengono uniti con una linea continua di polvere pirica ed il fuochista, accostando la miccia in un punto qualsiasi della linea della polvere del circolo, si pone in disparte;
appiccato il fuoco, i mortaretti della cosidetta batteria, esplodono con grande fragore quasi simultaneamente.
Per ogni sparatoria si formano più batterie ad una certa distanza una dall’altra, in modo che dopo sparata la prima, prima di giungere alla seconda vi sono fra di esse gli spari dei mortaretti singoli.
A conclusione della sparatoria si pone sempre una batteria più numerosa forse di un centinaio di pezzi ed allora risultando il circolo più grande si pongono anche mortaretti nell’interno di esso a croce o in linee orizzontali ma tutti collegati con la polvere pirica; nel punto opposto a quello in cui verrà appiccato il fuoco si fa una diramazione con polvere lunga circa un metro dal circolo ed in contatto con esso ed alla estremità esterna si colloca il più grande mortarone che esplode per ultimo.
Lo sparo di questi coincide presso a poco quando durante le processioni religiose il Santo portato in processione risulta nel giro di ritorno in prossimità di Porta Romana.
I mortaretti sono stati acquistati nel modo seguente e tutti prima dell’anno 1860, anno in cui Orvinio cessò di appartenere allo Stato Pontificio e venne incorporato nello Stato del Regno d’Italia.
Nello Stato Pontificio tutti i negozi erano privative, e quindi vi era un solo caffé, una sola bettola, una macelleria, una pizzicheria, un forno, ecc..
Era consuetudine che ogni anno ciascun appaltatore di singola privativa doveva acquistare a proprie spese un nuovo mortaretto e regalarlo al Municipio onde aumentarne il numero e sostituire quelli che eventualmente scoppiavano, si perdevano durante gli spari o venivano sottratti. Questo è un dettaglio preciso che mi è stato riferito da molte persone da me interpellate e che hanno vissuto l’epoca prima del 1860.
I colombi, comunemente chiamate “palombelle” sono stati introdotti per la prima volta ad Orvinio verso l’anno 1885, ad opera dell’Ecc.ma Casa dei Principi Borghese che li fecero venire da Roma.
La tradizione vuole che la famiglia Taschetti di Orvinio sia oriunda della antica città di Vesbula (comunemente detta Pietra Demone o Morretta) e la famiglia Biscossi provenga da Castello Sinibaldi.
L’impianto della luce elettrica di Orvinio è stato inaugurato nell’anno 1914, in sostituzione di quello a fanali con lumi a petrolio, dal comm. Filippo Todini ed a sue proprie spese, come pure a spese dello stesso Todini, quasi contemporaneamente alla luce elettrica, fu inaugurato il servizio postale automobilistico Orvinio-Stazione Ferroviaria di Mandela, precursore di quello Orvinio-Roma che seguì circa dieci anni dopo.
Al n.5 di Piazza Garibaldi si ammira un bellisssimo portale di marmo di Cottanello.
Nella stessa piazza, sulla chiave dell’arco del portale distinto col n.2 è inciso quanto segue:

M.D.
C. III

Trattasi probabilmente della data 1604 e deve riferirsi certamente all’anno della sua costruzione.
Nelle pietre degli architravi di entrambe le finestre situate al secondo piano sopra alle porte distinte con i numeri civici uno e tre del corso Vincenzo Manenti è stato inciso in caratteri romani:
“IOSEPH. AN.TASCAE” riferentisi probabilmente al proprietario dell’epoca, appartenente alla famiglia Taschetti.
Riferentisi a varie epoche esistono vari stipiti in pietra di portoni e finestre abbastanza interessanti, alcuni dei quali bellissimi ed anche bene conservati; ne indicherò quì di seguito la loro precisa ubicazione:
-Salita del Borgo, al primo piano sopra le porte nn.tre e quattro, due finestre.
-Corso Manenti n.23 caratteristico e bel portale.
-Corso Manenti n.91, bellissimo portale con caratteristiche mensole che sostengono l’architrave.
-Corso Manenti al primo piano sopra il portone n.92, bellissima finestra.
-Corso Manenti, finestra al primo piano sopra il portone n.93; questa finestra si riferisce forse alla casa del portale n.91 di cui sopra.
Nella facciata della casa situata in via della Passeggiata in angolo col Corso Manenti (ora Quattro novembre) e di proprietà dei fratelli Francesco e Gioacchino Alivernini, distinta al n. civico (fig.107) si notano un bel portale e due finestre.
Sempre nella stessa via al n.29, avanzi di nobile portale e nella stessa casa tre finestre che si affacciano sulla via di Porta Vecchia delle quali, una all’inizio della discesa e due nei due piani alla facciata opposta al portale.
Altra finestra al primo piano sopra il portone n.61 della stessa via della Passeggiata.
Dentro l’abitato si notano delle Sacre Immagini e precisamente :
Al corso Manenti tra le due finestre al primo piano della Casa n.1, di proprietà di Anna Mancini in Zacchia, esiste una bella edicola con quadro dedicato alla Madonna della Provvidenza (fig.115).
Nella stessa via, della casa distinta col n.30 di proprietà di Elisa Marcangeli in Tani, notasi una vecchia edicola con visibili tracce di pitture; esiste ancora in sito il braccio in ferro battuto ancora bene conservato e che sosteneva il fanalino scomparso.
Via Roma, al primo piano della casa n.1, entro una nicchia, quadro ad olio riproducente la Madonna di Vallebona (proprietà di Livio Alessi).
Via della Passeggiata, presso il Torrione, nel muro di cinta del Parco del Castello di S.E. Filippo Cremonesi, in prossimità di un angolo entro una nicchia in pietra e sportello in ferro a vetri, Sacra Icone della Madonna di S:Agostino.
Via di Porta Vecchia, facciata della casa distinta col n.11, affresco del grande taumaturgo S.Antonio di Padova.
Al 2° piano di via Cesare Battisti e precisamente al n.40 esiste una nicchia vuota, ma che certamente in altri tempi doveva contenere qualche Sacra Immagine; ciò si desume anche dall’esservi conficcato un gancio nella parte superiore della nicchia e ad esso attaccato un pezzo di filo di ferro.
Nella parte interna del muro del giardino di proprietà del cav. Uff. Armando Alessi sito in via Cesare Battisti n.43 esiste una bella nicchia rivestita con mosaico d’oro con cornice di marmo bianco scolpita e arabescata e sovrastante riparo fisso con vetri colorati e lanternino di ferro battuto.
Entro la nicchia è stata collocata una statuetta bellissima in marmo bianco riproducente S.Teresa del Bambino Gesù (fig.114).
Fuori dell’abitato esistono tre cappellette in punti diversi del territorio; una in località “La Chiusa”, prossima al mulino di cereali omonimo dedicata alla Madonna della Pietà (proprietà di Nicolino De Angelis) (fig.116).
Una seconda situata al bivio della località “Immaginetta” fra la strada che conduce a Vallebona e quella al Colle della Guardia, dedicata all’Immacolata Concezione (proprietà di Augusto Petrucci) (fig.117) e la terza in località S.Benedetto o Madonnella dedicata alla Madonna di Lourdes di proprietà di Sante Biscossi (fig.118).
La prima si chiama comunemente Madonna della Chiusa, la seconda Immaginetta e l’ultima Madonnella.
Nell’aprile 1849, diretto alla difesa di Roma, dimorò in Orvinio l’Eroe dei due mondi, Generale Giuseppe Garibaldi ed alloggiò nella casa in Piazza Garibaldi n.1 di proprietà della famiglia Morelli e precisamente nella stanza al secondo piano avente la finestra in prossimità dell’angolo con la salita del Borgo ed in asse con via Roma e la porta della chiesa di S.Giacomo (finestra di mezzo della fig.7).
Nell’Archivio del Comune si conservano delle lettere autografe del Generale Garibaldi, ricordo di averle vedute anche io, ma anziché essere conservate con amorevole cura sono state vilemente trafugate ad opera di persone prive di onestà.
Anche costoro meritano l’onore di essere segnati al libro nero dei rapaci e distruttori del bello, della storia e dell’arte.
Ignorasi se insieme al prode Generale abbia dimorato ad Orvinio anche la sua moglie Anita, degna sua compagna, morta tre mesi dopo nelle campagne Tosco-Romagnole in seguito ai grandi stenti e disagi sopportati con stoica virtù Italiana; le probabilità e qualche punto di appoggio ci sono che lei sia stata ad Orvinio, ma non è accertato, il compito è riservato ad altri.
Attualmente esiste ancora il letto dove dormì il Grande Generale; non sarebbe male, anzi sarebbe doveroso da parte del Comune di Orvinio si prendesse l’iniziativa di farsi promotore affinché tale stanza con gli arredi dell’epoca di Garibaldi fosse dichiarata Monumento Nazionale e posta alla venerazione dei posteri.







A ricordo di tale avvenimento, sulla facciata è stata murata una pietra di marmo (fig.111-112-113) con la seguente dedica ivi scolpita ad eternare tale avvenimento:

In questa casa
Diretto alla difesa di Roma
Dimorò nell’Aprile 1849
Giuseppe Garibaldi
A perpetuo ricordo
Il Municipio di Orvinio
Pose il 20 settembre 1884




































Nell’anno 1928 ho dedicato ad Orvinio il seguente “Inno” (fig.119) da me composto ed è adattato ad un semplice motivo di bell’effetto musicale sia se cantato a soli che in coro e specie se accompagnato da strumenti musicali e meglio da complessi bandistici.
La tiratura l’ho fatta effettuare solo con mille esemplari compreso quello a fig.15
























Inno a Orvinio
(antico Orvinium)
Parole
di Amaranto Fabriani
(da cantarsi sull’aria di Valencia)

Orvinio , perla sei della Sabina
Che a Te tutta s’inchina
Orvinio, brilla sempre la Tua stella
Della luce la più bella
Orvinio, sei immensa nella gloria
E di Te parla la storia
Più grande sempre noi Ti vogliamo
E quest’Inno a Te eleviamo

Manenti il gran pittore
Nel marmo è già eternato
Frezza grande incisore
Che dev’essere onorato
Santa Maria del Piano
Gioiello del secolo Nono
San Giacomo del Bernini
Il Castello co’ suoi giardini

Orvinio, perla sei della Sabina
Che a Te tutta s’inchina
Orvinio, brilla sempre la Tua Stella
Della luce la più bella
Orvinio, pel presente e pel passato
Dai vicini sei invidiato
Sii sempre, vigilante sentinella
Della nostra terra bella

Garibaldi il generale
Diretto alla Capitale
Nell’aprile quarantanove
Venne a te verso le novembre
Nel Tuo grembo fu ospitato
E dal Tuo popolo fu acclamato
Nel palazzo dei Morelli
Vi passò dei giorni belli

Orvinio. Perla sei della Sabina
Che a Te tutta s’inchina
Orvinio, brilla sempre la Tua stella
Della luce la più bella
Orvinio, dall’acqua Tua cristallina
E dall’aria sopraffina
Tu sei, dolce luogo incantatore
Dalle donne piene d’amore

Fra le tue cose più belle
Prime vengono le Zitelle
E fra quelle più pregiate
Sono certo le Maritate
Ci son pure le Vedovelle
Anche loro graziose e belle
Sempre pronte a conquistare
Un altro uomo da sposare

(maggio 1928 anno VI E.F.)





In seguito al mio tenace interessamento presso le Autorità Capitoline, ho potuto ottenere che anche Orvinio fosse compreso fra i nomi delle vie dell’Urbe.
Ebbene la mia fatica è stata coronata dal successo e dall’anno 1935 “via Orvinio” è una realtà palpabile che chiunque può vedere per sincerarsene. Essa si diparte da via di Villa Chigi, che percorre la fronte della villa omonima, ed è ubicata di fronte a Villa Savoia, proprietà del nostro amato Sovrano, ed è in prossimità del luogo dove sorgeva l’antica città sabina “Antemnae” (oggi Andenne).
Allego due fotografie eseguite in sito nell’anno stesso della sua nascita (1935) e la persona che si vede è lo scrivente (vedere fig.120 e 121).
In prossimità della Casa Parrocchiale e più precisamente fra i civici numeri 69 e 71 del Corso Vincenzo Manenti, a circa un metro di altezza dal piano stradale, esiste una finestra munita di inferriate a forma romboidale.
Sul davanzale della stessa è stata posta un’antica pietra in travertino e sul lato superiore di essa è scolpito quanto segue:
+ ED ENOCE O M LV
Apparteneva forse alla prossima Chiesetta medioevale ora scomparsa e sostituita dall’attuale Chiesa Parrocchiale??


















Roma - Via Orvinio
E’ situata di fronte a Villa Chigi ed in prossimità
di Villa Savoia residenza del nostro amato Sovrano