Il Libro di Orvinio

di Amaranto Fabriani

Edizione definitiva de Il Libro di Orvinio, scritto da un illustre personaggio della cittadina sabina.

4 - Chiesa Parrocchiale di S. Nicola di Bari

La Chiesa Abbaziale e Parrocchiale, già Vicaria dell’Abbazia di S.Maria del Piano, è situata al corso Manenti. Annessa alla Chiesa vi è una comoda casa parrocchiale e l’intero edificio come risulta attualmente (tranne l’elevazione dell’ultimo piano del campanile che è stata circa sessanta anni or sono) è stato inaugurato il 18 e 19 settembre 1842. Con Breve Apostolico del 7 maggio 1818 del Sommo Pontefice Papa Pio VII al Vescovo di Sabina pro tempore, alla cui Diocesi ha appartenuto Orvinio fino al 31 dicembre 1841, per poi passare a quella i Tivoli, concesse la facoltà di poter erogare quelle rendite che si fossero esatte per quindici anni dopo la morte dell’ultimo Abate Commendatario di S.Maria del Piano eretta in Commenda, Ecc.mo Caffarelli Canonico Lateranense e devolute alla costruzione della nuova Chiesa Parrocchiale unita perpetuamente a quella Abbaziale di S.Maria del Piano, essendo l’antica Chiesa Parrocchiale divenuta angusta per la seconda volta. L’esecuzione del suddetto Breve Pontificio era stata differita fino al 1835 perché si erano formati due partiti sulla scelta del luogo dove doveva sorgere la nuova chiesa. Uno capeggiato dall’Ecc.mo Principe Marcantonio Borghese, voleva che il sacro edificio sorgesse a fianco del Castello e precisamente a sinistra entrando dalla porta principale da addossarsi al Castello stesso. A proposito e per meglio precisare dirò, che ricordo bene quando ero fanciullo di aver visto iniziato in quel punto il fabbricato, tutto in mattoni, con svelti e robustissimi archi ed elevato fino all’altezza del secondo piano (ora trasformato in abitazione). L’altro partito insisteva di radere al suolo la vecchia Chiesa e sull’area di risulta costruire la nuova; quest’ultimo prevalse. Da una iscrizione del Vescovo Lorenzo Santorelli, si legge che la Chiesa Parrocchiale di Orvinio, ora anche Vicaria dell’Abbazia di S.Maria del Piano e consacrata il 31 marzo 1536. Essa è a forma rettangolare e nella parte centrale è sostenuta da otto robusti pilastri, sistemati in forma ellittica, su cui scaricano gli archi che sorreggono le volte ed i tetti. Ha cinque altari, compreso quello Maggiore che è in corrispondenza della porta principale centrale e sormontato da una non brutta tela di S. Nicola di Bari, con nutria bigantina, protettore di Orvinio (fig.56). Nella parte interna della porta principale e precisamente sotto l’arco che sorregge la cantoria vi è un bellissimo antiporta in legno, decorato di intagli e quattro statuette scolpite in legno, opera eseguita dallo scultore Alessi Ludovico di Orvinio sul finire del secolo scorso; pure della stessa epoca e dello stesso artista è quel bel complesso di armadi che è sistemato nella Sagrestia della stessa Chiesa. Gli altri quattro altari sono sistemati: due nel lato lungo della Chiesa e precisamente: quello a destra dedicato a S.Rocco sormontato dalla statua lignea del Santo; quello di fronte a quest’ultimo è dedicato alla Madonna della Pace con Icone della Vergine, mentre gli altri due sono sistemati ai due lati dell’Altare Maggiore: a destra dedicato al Sacro Cuore di Gesù, a sinistra alla Madonna Addolorata, sormontati entrambi dalle rispettive Sacre Immagini. Nella cantoria è sistemato un organo acquistato a Subiaco per la somma di lire cinquecento circa settanta od ottanta anni or sono. Nel quinquennio 1935-1939, sedente il Parroco Sarrocco don Salvatore, con una spesa complessiva di circa lire ventunomila, racimolate a suon di bussola, sono stati rinnovati i cinque altari; di marmi policromi quello Maggiore compresa l’antistante bellissima balaustra (fig.1) nonché quelli dedicati a S.Rocco e alla Madonna della Pace. Più modesti e con pietra comune, ma belli anch’essi, gli altri due. Vada una lode al suddetto parroco per il suo fervido interessamento della sua Chiesa. Circa quaranta anni or sono, il Vescovo di Tivoli, recatosi ad Orvinio per effettuare il SS.mo Sacramento della Cresima, rimase colpito da una vera bruttura esistente nell’interno della Chiesa Parrocchiale; alla base degli otto pilastri centrali ed all’ingiro di essi erano fissati dei rozzi sedili di legno. Con propria munificenza dispose la demolizione dei sedili stessi, mentre la base dei pilastri fu rivestita con grandi lastre di candido marmo di Carrara. Nella parete di destra ed in prossimità dell’Altare della Vergine Addolorata è murata un pietra di marmo su cui è scolpito: D.O.M. TRINO ET UNI CATHARINA BASILICI CLARA GENERE CLARIOR PIETATE EXCIVITAVIT ET VICTURA POST MORTEM PIETATIS STUDIO BINAS IN QUALIB. HEBID.A MISSAS INSTITUENS VITAE COSULUIT IMORTALI ANNO DUI MDCCXI Sottostante all’Altare Maggiore vi è un grande locale ove si accede con una comoda scala di pietra; è illuminato da due finestre e poco oltre la scala, nella parete di destra, vi è un altare sormontato da un quadro della Madonna della Concezione. Detto locale si chiamava comunemente cimitero, perché sottostanti ad esso vi erano due grandi locali ossari, ove si effettuò il seppellimento dei cadaveri fino a quando (nel secolo scorso) fu proibito per legge di seppellire nelle chiese entro gli abitati e a tal uopo furono istituiti in tutti i centri piccoli e grandi gli attuali campisanti. Attualmente sono ancora in sito le due pietre tombali, in corrispondenza ciascuna del proprio ossario sottostante. L’attuale Parroco Sarrocco, circa una diecina di anni or sono, faceva vuotare entrambi gli ossari provvedendo provvedendo a far trasportare tutte le ossa in essi contenute, al Camposanto attuale delle Petriane. Dopo ciò faceva aprire una porta e due finestrine ai locali ex ossari adibendoli ad uso della Parrocchia. La torre campanaria fa parte integrante del Sacro Edificio; è a destra della facciata principale ed in linea con essa. Attualmente è alta tre piani, in origine due, ed all’ultimo sono collocate tre campane di diversa grandezza. Quella grande, comunemente detta “campanone”, è collocata nella cella che guarda il corso Manenti in direzione di Porta Romana e porta la scritta: Pietro Benedetti–Fonditore Reatino–AD 1838. Il ceppo è stato rifatto nel 1916 dal falegname Mario Scanzani di Orvinio. La campana media è sistemata nella cella che guarda verso il Castello e l’ultima fusione di essa è stata effettuata da Ernesto e Oreste fratelli Lurenti – Fonditori Romani –AD-MCMIII (1903). Il ceppo di questa è stato rifatto nel 1924. La campana più piccola squilla in direzione di Piazza del Sole e la sua fusione rimonta all’anno MDCXXXVIII (1638) forse quest’ultima sarà proveniente dalla vecchia Chiesa. Nella facciata del campanile in linea con la Chiesa e precisamente a circa due metri da terra è stata incastrata una antica scultura di un solo pezzo e probabilmente di marmo bianco, forse proveniente dalla vecchia Chiesa abbattuta. Essa riproduce fedelmente la facciata in miniatura di un Tempio Cristiano con relativa porta centrale e timpano ad essa sopvrapposto, pilastri, lesene, capitelli, nicchie, ecc.. Chiunque l’ammira dice che è una cosa veramente bella. Che sia un vecchio ciborio? (fig.57). Ricordo bene che circa quaranta anni or sono, in un giorno di festa, mentre le campane della Chiesa Parrocchiale suonavano a distesa, la fascia di cuoio su cui era appeso il battaglio del campanone si lacerava ed il battaglio stesso con grande veemenza andava a cadere sulla strada conficcandosi nel duro terreno per circa mezzo metro di profondità; per un vero miracolo non colpì un certo Alessi Mariano che trovavasi fermo a poche diecine di centimetri dal punto dove rimase conficcato il battaglio. Nell’anno 1922, a spese di tutta la popolazione di Orvinio, fu rifatto il soffitto della Chiesa perché pericolava; la volta e le pareti pitturate ed il mattonato composto di mattonelle esagonali di cemento unicolori, sostituiva quello precedente in mattoni di terracotta, già provenienti dalle fornaci di Orvinio prossime a Vallebona. Riporto quì di seguito integralmente quanto scritto da un anonimo cronista del tempo all’epoca della inaugurazione dell’attuale Chiesa Abbaziale e Parrocchiale: “Supplemento al n.42 delle “NOTIZIE DEL GIORNO” (giornale del tempo) del 20 ottobre 1842” Canemorto 20 settembre Canemorto che sul principio del secolo IX fu il teatro della rotta data dalle armi di Carlo Magno a’ Saraceni, ora Canemorto, deponendo quell’antico di Orvinio; che fu patria del celebre pittore Vincenzo cav. Manenti, al ch. Avv. Concistoriale Domenico Morelli, e al Vescovo di Sutri e Nepi, Mons. Anselmo Basilici, e a tanti altri benemeriti e delle belle arti e delle scienze, fu nei giorni 18 e 19 corrente lietissimo per la inaugurazione della nuova Chiesa Abbaziale e Parrocchiale sotto il titolo di S. Nicola di Bari. Con Breve Apostolico del 7 maggio 1818 la sa.me. di Papa Pio VII all’Ecc.mo Vescovo di Sabina pro tempore, alla cui Diocesi ha fino a tutto il 1841 appartenuto Canemorto, concesse la facoltà di poter erogare dell’Abbazia eretta in Commenda della Chiesa di S.Maria del Piano (vasto tempio edificato per ordine di Carlo Magno nel 817 di qua dal rivo che divide dagli altri il nostro Territorio lungi un miglio dall’abitato verso l’Oriente) quelle rendite, ché esatte si fossero per 15 anni dopo la morte dell’Abate Commendatario ultimo di lei possessore Ecc.mo Sig. Caffarelli Canonico Lateranense, alla costruzione di una nuova Chiesa Parrocchiale unita perpetuamente a quella Abbaziale di S.Maria del Piano, essendo l’antica Parrocchia divenuta per la seconda volta angusta a questa popolazione, che la Dio mercè per la salubrità dell’aria va sempre aumentando il numero dei suoi individui. La discordia dei pareri sul luogo di costruzione avea differita l’esecuzione di tal Breve fino al 1835, quando il fu Ecc.mo Carlo Odescalchi di gloriosa memoria ne commise l’incarico a Monsignor Francesco De’ Marchesi Canali suo Suffraganeo, ed ora degnissimo Vescovo di Pesaro, ed allora fu che questi divisò edificarla ampliando l’area dell’antica Chiesa eguagliata al suolo. Talché dopo cinque anni si vide sorgere il nuovo edificio in forma ottagonale con cinque Cappelle e bel sotterraneo. Rimasta però la perfezione del nuovo Tempio nel suo corredo sul più bello sospesa per la vacanza delle Sede Vescovile per morte dell’Ecc.mo Gamberini, sopravvenne l’impegno del vigilantissimo Mons.Carlo Gigli Vescovo di Tivoli, al cui governo spirituale venivano destinati dalla Santità di Nostro Signore Papa Gregorio XVI felicemente regnante con Bolla Apostolica del 25 Dicembre 1841. Ed è perciò che per la cura di Lui, ora fra noi in occasione della sua prima visita Pastorale, si è potuta nel giorno 18 corrente, sacro ai dolori di S.Maria SS.ma officiar la nuova Chiesa permettendo la solenne Benedizione fatta della medesima dal nostro Vicario perpetuo Parrocchiale sig. Arciprete D. Gio. Antonelli Romano a tal uopo deputato, e cantandovisi quindi dal medesimo la solenne Messa della ricorrente festività con l’assistenza e intervento di questo Collegio de’ Cappellani, e di altri Sacerdoti Religiosi invitati, e con l’accompagno della bella musica ma divotamente concertata da questa antica Filarmonica Società. Verso la sera poi del dì seguente il nostro Mons. Vescovo dalla sua residenza alla Chiesa di S.Maria dei Raccomandati già dei Religiosi Conventuali, finora officiata per mancanza della Parrocchiale, accompagnato e dal Clero, che si era mosso ad incontrarlo, e dalla civica banda militare volle di sua mano fare il trasporto dell’Augustissimo Sacramento alla nuova Chiesa, premettendo un analogo e commovente ragionamento con quella facondia propria del suo zelo Apostolico, intanto che si allestivano le due numerose confraternite e del Gonfalone ivi eretta, e del SS.mo Sagramento unite alla Parrocchia. Terminato il discorso e vestito il lodato Prelato de’ Sacri Paramenti fu esposto il SS.mo Sagramento, ed intonati i Sacri Inni secondo il rituale romano, si mosse la processione che riuscì veramente divota. Precedevano le due Confraternte in bell’ordine disposte e decorate di magnifici attrezzi e copiose torce, seguiva il Clero divenuto in tal circostanza più numeroso, ed infine portavasi l’augustissimo Sagramento dall’Ill.mo Mons. Vescovo assistito dai Ministri nelle persone dei due Canonici Convisitatori e suo seguito, sostenendo le aste del baldacchino scelti individui delle rispettive Confraternite ed attorniato dalle torce che si recavano dai primari di questo luogo in abito nero vestiti, e similmente due ragguardevoli persone forastiere che vollero prestare un sì religioso ufficio, mentre gli individui di questa brigata de’ Bersaglieri facevano ala e frenavano la calca del numeroso popolo che seguiva. Le abitazioni sulla strada quasi tutta retta che percorse la processione, erano decentemente ornate di copiosi lumi e fanali, ch’essendo sull’imbrunir della sera, e quieto il vento in quell’ora, rendevano veramente bella la prospettiva. I canti alternati dai concerti della civica banda militare, fra il suono delle campane di ambedue le Chiese e fra il rimbombo dei mortari, resero la funzione commovente e religiosissima. Giunti alla nuova Chiesa dopo aver cantato l’inno di rendimento di grazie e le consuete preci, fu data la prima Benedizione al popolo col SS.mo Sagramento dal lodato Prelato, che spogliato quindi de’ paramenti sacri si restituì, accompagnato dal Clero e dai privati con torce, alla sua residenza, precedendo la civica banda militare co’ suoi concerti. La sera poi fu elevato un magnifico globo aereostatico sulla piazza del palazzo Morelli, presso cui risiedeva l’Illssmo e Reverendissimo Mons. Vescovo fra le salve de’ mortari, mentre veniva illuminato da fanali un maestoso arco di trionfo ivi erettogli dal Comune. Speriamo che un tale avvenimento, il quale formerà epoca ne’ nostri padri annali si pel nuovo Vescovo, come pel nuovo Tempio, possa essere principio di felici successi, che senza dubbio ci promettiamo dallo zelo veramente pastorale del nostro amatissimo Prelato.

3 - Chiesa e abitato di S. Maria di Vallebona

La Chiesa di Vallebona (fig.43-44-45) dedicata alla Beata Vergine sotto il titolo della “Madonna di Vallebona” è stata edificata verso l’anno 1643, col solo contributo di elemosine elargite spontaneamente dagli abitanti di Orvinio. Sorge al centro del vecchio abitato del paese di Vallebona. Il primo sacerdote che l’ha presa in consegna come cappellano è stato un certo Fabri di Orvinio, il quale fu trasferito a Civita Castellana dove è morto verso il 1676. E’ a forma rettangolare, con annessa casa con le abitazioni per il Custode o Eremita e per il Cappellano (attualmente vi risiede solo l’Eremita tale Timperi Augusto di Orvinio). Vi si accede da una unica grande porta a stipiti di pietra sormontata da timpano, situata nella facciata che guarda verso Orvinio; ai lati della porta vi sono due finestre quadrate poste all’altezza di circa un metro da terra e munite di robustissime inferriate. Non si trascurò di provvederla di redditi stabili e ciò avvenne con tanto entusiasmo che in breve tempo il reddito superò i cinquemila scudi romani. Sull’Altare Maggiore (fig.48) si ammira l’antichissimo affresco della Vergine che non è stato dipinto in loco dopo la costruzione dell’altare attuale, ma l’intonaco appare segato e quindi certamente è stato tolto da un altro edificio precedente ora scomparso. La Sacra Effige di S.Maria S.S.ma è rozzamente dipinta e rappresenta la Madre di Dio in atto di allattare il Divino Figliolo (fig.44-45-48). L’epoca e l’autore di questo antichissimo affresco si perdono nella notte dei tempi, certamente però esso fu dipinto da mano esperta quando la pittura era al suo inizio; lo dimostra il fatto che pochissimi colori sono in essa applicati. Nell’abside esistono vari affreschi, opera del cav. Vincenzo Manenti, insigne pittore orviniense; nella facciata di destra si ammira in grandi proporzioni, l’apparizione di un Angelo a S.Giuseppe, mentre questi è appoggiato al banco da falegname per annunciargli che la Madonna è madre di Dio per virtù dello Spirito Santo (fig.49). L’affresco è molto sbiadito ed è prossimo a scomparire. Nella facciata di fronte “Adorazione dei Re Magi”. Questo affresco di identiche dimensioni a quello di fronte già descritto, ha risentito dell’influsso dell’acqua piovana che è filtrata attraverso il muro ed allo stato attuale, le figure non si distinguono quasi più e quindi non è stato possibile fotografarlo. In alto a destra “La fuga in Egitto”. E’ un affresco meraviglioso sia per la realistica concezione che per il contrasto e la vivacità dei colori (fig.50). Di fronte “La Vergine con Santi” (fig.51). Come vedesi dalla fotografia, non si distingue quasi più perché molto deteriorato. Al centro della volta, entro una ricca cornice ovale di stucco “L’Assunzione di Maria Vergine” (fig.48).Nella lunetta in alto sopra l’Altare Maggiore (fig.48) l’affresco riproduce il Padre Eterno che stende sul mondo il braccio sinistro. A metà della Chiesa esistono due altari: quello nella parete di destra sormontato da una tela rappresentante la Visitazione (fig.54) opera del pittore Dino Mora da Caforno eseguita nell’anno 1932. Questa recente tela, tutt’altro che bella, è stata fatta in sostituzione di quella che esisteva precedentemente e che rappresentava lo stesso la Visitazione, ma essendo stata dipinta anche essa dall’insigne Manenti, era bellissima come tutti i suoi capolavori e che disgraziatamente è andata perduta. Della Visitazione del Manenti esiste una pessima riproduzione a fresco, fatta circa quaranta anni or sono, nell’altare di destra della Chiesa di S.Giacomo in Orvinio (fig.47) nella descrizione della Chiesa di S. Giacomo a pag. 19B. L’altare di sinistra che è situato di fronte a quello testè descritto, è sormontato da una meravigliosa tela del Manenti; è danneggiata nella parte centrale in alto essendone caduto un pezzo rettangolare orizzontalmente (fig.55), ma in generale è ancora bene conservata.. Essa rappresenta l’apparizione della Vergine al Beato Stefano primo Eremita di Vallebona del quale si conserva un osso in un reliquiario della Chiesa Parrocchiale di S.Nicola di Bari di Orvinio. Sul ligneo soffitto della Chiesa esistevano tre grandissime e stupende tele del Manenti contornate da cornici sagomate e riproducenti: quello verso la porta della Chiesa “Gesù che indica a S.Pietro la Porta del Paradiso, dopo avergli consegnate le chiavi (fig.52). Al centro, di dimensioni più grandi degli altri due, “un Angelo che addita alla Vergine la venuta dello Spirito Santo” (fig.53). Il terzo collocato verso l’Altare Maggiore, rappresentava S.Giovanni. Il primo è ancora discretamente conservato; il secondo (al centro) è abbastanza deteriorato come si riscontra anche dalla fotografia (fig.53); il terzo, invece, riferentesi, come sopra detto, a S.Giovanni, non esiste più perché qualche anno fa un muratore di Orvinio, nomato Petrucci Angelo, mentre lo toglieva per essere restaurato, non avendo disposte le cose a modo, lo faceva precipitare dall’alto della Chiesa e nella caduta sul nudo pavimento rimaneva completamente distrutto. I visitatori della Chiesa di Vallebona, alzando gli occhi al soffitto, guardano con mestizia al vuoto, non facilmente colmabile, lasciato dal meraviglioso quadro andato distrutto, senza lasciare tracce di se. Notevole un acqua santiera a piede, sul lato destro entrando, e gli stipiti della porta in fondo alla scala che conduce alla casa dell’Eremita, nonché quelli delle due porte (fig.48) che immettono alla Sagrestia retrostante all’Altare Maggiore che sono di bellissimo marmo di Cottanello. Vi sono alcune vecchie pitture su legno o su tela, ex voti per grazie ricevute; una vecchia canna di archibugio ridotta in due pezzi. Avvi pure moltissimi quadri con cuori di argento ex voti, spadini di argento, vezzi di corallo, viere, ecc. anche essi offerti alla Miracolosa Sacra Immagine della Vergine S.S.ma di Vallebona (fig.48). Il cuore d’argento entro il quadro con cornice dorata e vetro a sinistra dell’altare maggiore, il primo in alto a destra verso l’altare e che vedesi nella fig.48, indicato dalla freccia, è stato da me donato alla Madonna per avere ricevuto indegnamente ben tre grazie da me accertate. Altri bellissimi quadri ad olio su tela sono appesi nelle pareti della Sagrestia. Ivi si conserva anche una bella tela molto antica, rappresentante S.Giovanni; essa sovrastava l’unico altare della Chiesetta dedicata a questo Santo, prossima a Vallebona; fu tolto nel secolo scorso quando la Chiesetta con i terreni circostanti furono demaniati e portata a Vallebona. Qualche anno fa il Parroco di Orvinio, Sarrocco don Salvatore, nativo di Siciliano, faceva ripulire la Chiesa di Vallebona. Durante i lavori di raschiatura del vecchio intonaco, si scopriva nella parete di destra, in prossimità della porta che immette alla scale che conduce alla casa dell’Eremita ed a circa metri due e cinquanta centimetri di altezza dal mattonato, un affresco delle dimensioni di circa un metro quadrato e che forse rappresenta un ex voto. Ritengo che non sia stato eseguito da mano maestra, però una volta tornato alla luce, non era male conservarlo scoperto, anziché nasconderlo di nuovo sotto l’intonaco formatosi con la nuova imbiancatura della parete. La campana attuale, del peso di circa quattro quintali, è stata rifusa perché la precedente si era rotta. Verso la metà dell’anno 1898, la vecchia campana fu fatta precipitare dal campanile, dal lato che guarda verso il camposanto delle Petriane o meglio quello in linea con la parete sinistra della Chiesa, mentre la nuova ha risalito e preso il posto della vecchia entro la cella campanaria sopra un ponte di legno gettato sopra la strada che fiancheggia il lato destro della Chiesa dall’ingresso dell’orto dell’Eremita fino al tetto della Chiesa e quindi attraverso il tetto stesso, su cui erano state tolte le tegole, dentro il campanile. L’ultima fusione è avvenuta alle 5,45 del giorno 25 agosto 1898 presente Antonio Tani di Orvinio nella fonderia dei F.lli Mari di Salle (Abruzzi). Dopo la fusione fu trasportata in Orvinio il giorno 5 settembre successivo alle ore 6 ed appesa, per la cerimonia battesimale, a delle robuste corde legate nella catena di ferro che attraversa le spalle dell’arco della cantoria, antistante l’organo, della Chiesa Parrocchiale di Orvinio. Fu battezzata da Mons. Pietro Monti, allora Vescovo di Tivoli, assistito dai Ministri: Valentini arciprete Valentino Diacono, Pietro Filizzola Sacerdote e Cappellano Rettore di Vallebona e dal cerimoniere Don Emilio Valeri. Padrino il Comm.Filippo Todini fu Alessandro, madrina S.E.Elena Principessa Borghese con procura alla Madre Angelina suora delle Figlie della Croce. Portata a spalla a Vallebona, dai fedeli Orviniensi, il giorno successivo della natività di Maria Vergine ed appesa al campanile lo stesso giorno. In tale circostanza fu celebrata a Vallebona la Messa dallo stesso Vescovo Mons.Monti. La campana attuale porta la seguente scritta: “Fusa dai fratelli Mari di Salle-A-1898” Il ceppo invece è stato rinnovato nell’anno XVI –E.F. dal falegname Frezza Goffredo di Orvinio. Mio padre Alessandro Fabriani fu Bernardino nato nel 1836, mi raccontava di rammentarsi bene la fusione precedente della campana di Vallebona, fusione avvenuta a Vallebona stessa quando lui era giovane. Il forno era stato costruito a ridosso della parete esterna sinistra della Chiesa (fig.43) e precisamente quella in linea con la torre campanaria. Esternamente partendo dalla base del campanile e procedendo verso la facciata dell’ingresso alla Chiesa, si incontra un muro sporgente che riguarda l’altare, a sinistra entrando in Chiesa, dove è la tela dell’apparizione della Madonna al Beato Stefano (fig.55). Tale sporgenza forma due angoli retti rispetto alla facciata della Chiesa; uno a sinistra verso il campanile, l’altro a destra verso la facciata della porta. Ebbene il forno era stato costruito in quest’ultimo angolo; anche oggi si notano benissimo degli avanzi della costruzione del forno come vedesi dalle due fotografie (fig.43-47). Mio padre aggiungeva che durante tale fusione i fedeli recandosi a vedere quell’inusitato spettacolo, facevano a gara per gettare nel crogiuolo a seconda delle proprie possibilità, monete di argento e di oro affinché la campana potesse risultare con un suono più argentino. Il lunedì di Pasqua si fa una bella festa a Vallebona, ove si recano in gran numero gli abitanti di Orvinio e dei paesi circostanti. Colà si consumano largamente le ottime torte di Pasqua, salametti (specialità locali) uova sode, agnelli arrostiti ed altro, non escluse abbondanti libagioni di vino più o meno generoso. I sacerdoti di Orvinio vi celebrano la S.Messa e la campana suona a distesa diffondendo con la sua grande bocca la sua squillante voce lungo le vallate in fiore a cui fa riscontro il festoso cinguettio degli uccelli mentre la dolce primavera fa notare la sua presenza. Quest’anno tale giorno ricorreva il dieci aprile; fra gli improvvisati campanari, era salito sul campanile il giovane Alberto Desideri, il quale, volendo forse gareggiare in bravura di fronte ai suoi compagni, inferse maggiore impulso alla campana tanto da farla uscire dal castello di legno ove è appesa, e farla precipitare sopra la volta esistente alla base della cella campanaria. Figurarsi lo spavento dei campanari in erba, i quali si calarono precipitosamente sul tetto della Chiesa, lo attraversarono fino alla grondaia sovrastante l’ingresso esterno della casa dell’Eremita e spiccando un mastodontico salto da quell’altezza, in direzione dell’orto dell’Eremita, si dileguarono. Senza dubbio vi fu l’intervento Divino della Madonna di Vallebona, perché non solo non successe nessuna disgrazia alle persone, ma la campana per vero miracolo precipitò ai piedi del campanile. Nella caduta si spezzò solo una gamba il piccolo Crocifisso che è fuso alla parete esterna della campana stessa. Dopo qualche giorno alcuni volenterosi rimisero a posto il sacro bronzo. Un’altra festa vi si celebra il 2 luglio, giorno della Visitazione. Per tradizione, io pastori di buoi (detti comunemente butteri o bifolchi) a piedi scalzi portano processionalmente da Orvinio a Vallebona, la Sacra Icone della Vergine delle Grazie, esistente nella Chiesa Parrocchiale di S.Nicola di Bari. In tale festa accorrono numerosi anche gli abitanti dei paesi viciniori. E’ incredibile il concorso e la generosità dei devoti. Frequenti sono le grazie che la miracolosa Madonna dispensa ai suoi fedeli devoti, facendo accrescere la devozione del popolo e la fiducia verso la Madre di Dio. Il popolo di Orvinio ripone tutta la sua devota fiducia nella Vergine di Vallebona, per il sollievo delle sue sofferenze. Si racconta che gli abitanti dell’ex paese di Vallebona, dopo aver abbandonato il proprio abitato si trasferirono ad Orvinio ed in tale epoca fu costruita da loro stessi la parte nuova dell’abitato di Orvinio. Il paese di Vallebona andò in isfacelo e le mura diroccate divennero presto preda dei rovi e dell’edera. Un giorno un pastore di Orvinio recatosi a Vallebona, armato di scure saliva su di un rudero allo scopo di tagliare dell’edera che lo ammantava onde poter far nutrire le sue capre. Mentre menava un forte colpo per recidere un grosso ramo, fu scosso da un grido di donna, proveniente dal fitto fogliame, e nello stesso tempo si accorgeva che la lama della scure era intrisa di sangue. Lì per lì rimase allibito, ma poi fattosi coraggio, volle vedere cosa si nascondeva sotto l’edera. Strappate le foglie che ricoprivano il muro, scoprì la Sacra Effige della Vergine S.S.ma che grondava sangue come persona vivente, da una ferita sul lato sinistro del labbro inferiore, precisamente dove era stata colpita dalla scure del pastore. Anche oggi, dopo alcuni secoli, guardando la Sacra Immagine, si vede distintamente il labbro tagliato. Il pastore corse subito ad Orvinio a raccontare la prodigiosa visione e tutto il popolo si portò processionalmente a Vallebona. La Sacra Immagine fu tolta e portata nella Chiesa di Orvinio; dopo avervi celebrati dei solenni Vespri, in onore della Vergine S.S.ma, la sera fu chiusa la porta come al solito. La mattina seguente, il sagrestano recandosi ad aprire la porta della Chiesa, rimase sorpreso nel vedere che la Sacra Immagine portatavi la sera precedente da Vallebona, era scomparsa.. Dato l’allarme ed effettuate delle pronte ricerche, la Sacra Immagine fu ritrovata a Vallebona, e precisamente nel posto primitivo dove fu scoperta dal pastore. Si pensò subito che la Vergine S.S.ma non voleva separarsi da Vallebona ed allora fu deciso di costruire l’attuale Chiesa della Madonna di Vallebona, collocando nell’Altare Maggiore la Sacra Immagine scoperta dal pastore. Nel suo libro “La città di rifugio dell’Abruzzo Aquilano” padre Domenico di Sant’Eusanio ci dice che altre due miracolosissime Immagini furono eseguite sul modello di quella di Vallebona, e ci racconta quanto segue: “Predicava le Sante missioni in terra di Scandriglia il cappuccino padre Giuseppe Antonio Lattanti da Trevignano, predicatore, ai suoi tempi, celeberrimo e zelantissimo, albergando in quei giorni in una casa di un pio benefattore, avvenne che una sera il figlio di costui, bambino di appena otto mesi, avuta tra le mani un immagine di carta della Madonna di Vallebona, così strettamente se la teneva che a niun patto la volle ad altri consegnare se non solo a padre Giuseppe Antonio. Or costui rimanesse colpito dalla espressione dolce ed attraente della Vergine, o ravvivasse nel fatto del bambino qualche cosa di straordinario e quasi un avviso celeste, carissima si tenne quell’Immagine; anzi trovato in Roma un giovane pittore gli affidò l’incarico di ritrarre le medesime fattezze su tela ed in proporzioni più grandi, avendo stabilito servirsi di quella Sacra Effige in tutte le Sante Missioni che gli sarebbe dato ancor predicare. Avuta poi la desiderata copia, tanto se ne compiacque che altre due similissime ne fece dipingere con intenzione di farne un devoto regalo a quei paesi che nel corso del suo Apostolato, più avesse visti infiammati nell’amore di Maria S.S.ma. E come aveva stabilito così veramente eseguì, recando seco dovunque nella sacra predicazione di quelle tre bellissime copie, e donando le altre due alla Collegiata di S.Marco di Bagno nell’Aquila ed alla Collegiata del paese di Antrodoco, la sua nominando, Vergine Consolatrice degli Afflitti, le altre Madonna S.S.ma del Popolo”. La terza copia che rimase a padre Giuseppe Antonio non si è mai potuto sapere dove e a chi la donasse. La copia lasciata a S.Marco di Bagno è posta tuttora in venerazione alla Chiesa di S.Maria sotto il nome di “Madonna del Popolo Aquilano” è ritenuta dagli Aquilani molto miracolosa, e sappiamo che dallo stesso padre Giuseppe Antonio fu istituita un Congregazione di uomini e di donne, chiamata del S.S.mo Nome di Maria e che diventò numerosissima. La cifra raggiunge i seimila confratelli avendogli dato il nome il Vescovo e tutta la nobiltà di Aquila e quattro anni dopo lo stesso Carlo III con la sua consorte Maria Cristina e tutta la sua famiglia vollero essere Capi e protettori della Congregazione. Nel 1727 fu dichiarata protettrice di Aquila e con festa solenne fu posto sotto il quadro della Vergine questo bellissimo distico “Huc, Aquila infigeabtus, ubi Virgo refulget; virgo parenz, populi vita salusque tui”. E furono ottenute per i membri della Congregazione le medesime Indulgenze concesse per la Madonna di S.Maria Maggiore di Roma e ogni sabato vi si celebrano le litanie in musica col S.S.mo Sacramento esposto. Quanto alla copia alla Collegiata di Antrodoco, essa è tuttora tenuta in grandissima venerazione dagli Antrodocani. Anche quì, come in Aquila, ogni sabato vi si cantano le Litanie e una solenne festa vi si celebra la terza domenica di settembre. Bene a ragione gli Orviniensi sono molto orgogliosi della loro miracolosa Madonna di Vallebona che tutti venerano, adorano e festeggiano ogni anno con appassionata devozione. Una superba incisione su lastra di rame levigatissima delle dimensioni di centimetri 21,5X19 di superficie incisa compresa la cornice, è conservata nella Chiesa Parrocchiale di S.Nicola di Bari in Orvinio. Essa riproduce fedelmente le dolci e angeliche sembianze della Madonna di Vallebona ed è stata incisa, come rilevasi dallo stesso rame, in Roma l’anno 1740, dal celebre incisore Girolamo Frezza di Orvinio da me ricordato nell’inno a Orvinio. Si ignora la data e la casa dove ebbe i natali questo grande figlio di Orvinio, che attende ancora di essere degnamente onorato. E’ mia impressione personale che la casa dell’insigne incisore dovesse trovarsi al corso Manenti in prossimità di Porta Vecchia al primo o secondo piano della casa prospiciente la Piazza del Sole già Piazza del Casalino (vedere a pag.36 del presente). Del vecchio paese di Vallebona, attualmente si conserva ancora quasi tutto il muro di cinta, innestato ad avanzi di tre torri di difesa, ubicate in punti diversi, una delle quali (fig.45-46-47) per quanto molto sbocconcellata, si erge imponente e maestosa per un altezza di circa venticinque metri di muro pieno e priva di porte di accesso. Tale torre è situata nell’orto dell’Eremita, dalla parte che guarda verso Scandriglia e precisamente nell’angolo superiore di destra entrando in detto orto, angolo che guarda verso il Monte Castellano.Forse si accedeva alla sua sommità da un ponte levatoio o da qualche passaggio coperto esistente nel muro di ronda oggi scomparso. Nella parte superiore di essa si nota ancora bene, anche ad occhio nudo, un avanzo di archi e volte distinguendosi perfettamente che alla sommità doveva esservi un piccolo vano, per cui si può ritenere, senza dubbio alcuno, che essa aveva la funzione oltre che della difesa, quella di osservazione e certamente doveva essere inespugnabile a qualsiasi attacco che le fosse stato mosso dall’esterno. Nel muro di cinta del paese mancano le tracce delle porte ed allo stato attuale si ignora quante fossero e il punto preciso della loro ubicazione. Dentro il perimetro delle mura si notano molti avanzi di muri, taluni anche imponenti solidamente costruiti; assente qualsiasi traccia di arte, ma tutte costruzioni a base di ciottolame. Ignorasi se gli abitanti di Vallebona attingessero acqua dal fosso che scorre ai piedi del monte oppure da pozzi esistenti nell’interno dell’abitato.