Il Libro di Orvinio

di Amaranto Fabriani

Edizione definitiva de Il Libro di Orvinio, scritto da un illustre personaggio della cittadina sabina.

Capitolo 11 - Vecchie Carceri

In via del Giardino (ora Umberto I) annesso al Castello e precisamente al civico n.16 esisteva il lugubre fabbricato delle vecchie prigioni dell’epoca degli Orsini e dei Muti, dove venivano rinchiusi e predestinati alla tortura oppure ad essere soppressi con procedura sommaria e senza tanti complimenti.
Il sinistro edificio dopo il 1860 era adibito a Carcere Mandamentale ed ha funzionato come tale fino agli anni della guerra mondiale (1915-1918).
In tale epoca essendo proprietario anche del Castello un certo Remo Parodi-Salvo di Genova, affidava ad alcuni ingegneri di fiducia il restauro del Castello. Costoro, poco amanti della storia, decidevano fra l’altro, l’abbattimento dello storico edificio fino alla sommità del piano terreno, senza che le autorità locali elevassero protesta alcuna onde impedire si grande sconcezza.
Attualmente è rimasto solo il bel portale a pieno sesto con pietre bugnate (fig.104) con antistanti quattro gradini in pietra per l’accesso all’edificio.
Sovrastante al portone, l’attuale proprietario S.E. Filippo Cremonesi, Senatore del Regno, Ministro di Stato e Presidente della Croce Rossa Italiana, ha fatto apporre una pietra su cui spiccano a sinistra tre fasci littori e la seguente scritta:

RURI TIBI VIVAS
ALII CUM VIXERIS URBE
A.D. MCMXXXIV - (1934)

Prima che l’edificio fosse abbattuto ricordo bene di avere visto che sulla facciata, all’altezza del secondo piano ed immediatamente sotto il tetto vi era un grande affresco riproducente una sacra Immagine; subito sotto sporgeva dal muro per circa un paio di metri, un travicello di legno quadrato dello spessore da quindici a venti centimetri di lato.
In basso, perpendicolare al travicello ed immediatamente a destra dei gradini esterni guardando il portone ed a circa ottanta centimetri da terra, era fissata al muro una campanella o anellone di ferro dello spessore di circa venticinque millimetri e del diametro da quindici a venti centimetri circa.
Dopo l’abbattimento dell’edificio nella sua parte superiore, pur essendo scomparsi sia l’affresco che il travicello, la campanella era stata risparmiata e continuava a stare al suo posto:Recatomi colà giorni or sono, con mio grande stupore ho notato che anche quest’ultima era stata divelta ed il muro rabberciato di recente; certamente deve averla fatta togliere l’attuale proprietario Senatore Cremonesi, ignaro forse della importanza storica di essa ed in tal modo ha voluto contribuire anche lui alle barbare manomissioni contro lo storico edificio.
Preciso che la capriola della campanella era fissata dentro il muro tra due blocchi di pietra durissima, comunemente chiamata pietra scagliola, e l’anello a forza di battere contro di essi, aveva consumata la pietra imprimendovi le sue orme tanto nel blocco inferiore che in quello superiore, specie al primo con scanalatura profonda di due o tre centimetri; lascio giudicare al lettore da quanti secoli eravi stata apposta .
Orbene il travicello e la campanella facevano parte, insieme ad una corda ed una carrucola che venivano applicate al momento del supplizio, di un terribile strumento di tortura tremendamente atroce, dove si davano dei cosiddetti “tratti di corda”.
Il suo funzionamento si effettuava nel seguente modo: - Il candidato veniva solidamente legato ad una estremità della corda con le braccia a tergo, mentre l’altra estremità della corda stessa veniva passata attraverso la carrucola che era stata già fissata all’estremità del travicello e quindi veniva assicurata per bene alla campanella.
Il predestinato, dopo legata la corda alla campanella, veniva a risultare sospeso alla corda e sollevato da terra circa un metro; il carnefice allora ad un segnale stabilito, tirava la corda dalla parte dell’anello ed il condannato veniva sollevato fino ad una altezza stabilita adeguata alla punizione, quindi lasciatala d’un colpo, il corpo dell’infelice precipitava con veemenza nel vuoto.
Poiché per il modo con cui era stato legato, il corpo del torturato non poteva toccare terra con i piedi, nello strappo violento che si verificava, il meglio che gli poteva capitare, da simili carezze, era la slogatura delle braccia.
Giustizia dei tempi oscuri!!
Si racconta, pure, che in tale epoca, allorché due giovani fidanzati si univano in matrimonio, la sposa subito dopo celebrato l’atto nuziale, doveva essere immediatamente presentata al Signore proprietario del Castello, dominatore unico ed assoluto di Orvinio.
Se era brutta e a questi non piaceva, veniva rimandata dallo sposo che ansiosamente certamente l’attendeva; nel caso opposto invece, la sposa veniva trattenuta al Castello ed obbligata a trascorrere la prima notte di matrimonio, anziché con lo sposo che mordeva di rabbia, col proprietario del Castello, signore e padrone di Orvinio.
Chi poteva ribellarsi a tali prepotenze?
Erano guai molto seri per entrambi gli sposi che malauguratamente avessero consumato il matrimonio precedentemente; li attendevano i cupaci trabocchetti del Castello.
Che bei tempi che dovevano essere quelli!!
Per noi Fascisti del tempo di Mussolini sono incomprensibili.