Il Libro di Orvinio

di Amaranto Fabriani

Edizione definitiva de Il Libro di Orvinio, scritto da un illustre personaggio della cittadina sabina.

1- Da Orvinium a Orvinio

Orvinium di origine sicula è stata una delle più belle e più importanti città dell’antica Sabina, a nessuna seconda delle maggiori o minori consorelle come Reate (Rieti) patria di Terrenzio Varrone – Momentum (Mentana) – Eretum (Monterotondo) – Cures (Corese) patria di Numa Pompilio, genero di Re Tito Tazio, Anco Marzio e Tito Tazio – Amiternum (Amiterno) – Forum Novum (Vescovio) – Carseoli (Carsoli) – Teate (Chieti) – Corfinio (Sulmona) – Frentana (Francavilla) – Palatium (S.Giovanni Reatino) – Aspra (Casperia) – Ascra (Ascrea) – Anazzano (Lanciano) – Preneste (Palestrina) – Trebula (Montorio Romano) – Vesbula (Morretta o Pietra Demone) – Sema (presso Poggio Moiano) – Mefula (Scandriglia) – Cursula (Moggio) – Marruvio (Morro) – Vazia (Campo Laniano) – Lista (prossima a Rieti) – Thora (S.Anatolia di Castel di Tora) – Cutilia (pressp Paterno) – Pitinium (presso Aquila) – Regillo (presso Mompeo) patria di Appio Claudio – Cameria (Palombara) – Falacrine (presso Cittàreale a dodici miglia da Amiterno) patria dei Flavi – Nursia (Norcia) – Tibur (Tivoli) – Antemnae (Andenne) – Fidene (Castel Giubileo) e tante e tante altre. La città Capitale dell’antica Sabina era Amiternum (Amiterno) situata a circa cinque chilometri da Aquila. Marco Terrenzio Varrone loda Orvinium per la sua ampiezza e nobiltà in cui ancor si vedeano i fondamenti delle sue muraglie, i sepolcri di antica costruzione con i loro recinti sulle alture dei colli ed un tempio molto antico di Minerva nella sua rocca, dove sorge l’attuale Castello ora proprietà del Senatore Filippo Cremonesi – Ministro di Stato. Dionisio di Alicarnasso nei riguardi di Orvinium così si esprime: “Città quant’altra mai illustre, grande e magnifica, imperocché si scorgono i fondamenti delle mura ed alcuni sepolcri di struttura antica e le divisioni dei sepolcri disposti lungo dei terrapieni, sulla Città vi sta un antico tempio di Minerva ed il tempio di Atena eretto sull’Arce”. Il Guattani (Monumenti Sabini, volume III, pag.92) della Città di Orvinium così scrive: “sono ivi sepolcri, canali sotterranei scavati a scalpello nella viva roccia calcarea; fu prima da Cincinnato e poi da Orazio Pulvillo quasi interamente distrutta”. Come e quando avvenne la completa distruzione dell’antica Città di Orvinium si perde nella notte dei tempi, certamente però, prima del mille dell’Era Cristiana. Secondo la tradizione, il suo antico nome fu deposto ai primi del secolo IX e sostituito con quello di Canemorto, allorché, nella Valle Nuzia, in prossimità della antichissima e celebre Chiesa Abbaziale di S.Maria del Piano, le truppe di Carlo Magno riportarono una strepitosa vittoria sui Saraceni, facendone una vera strage. Sembra che ai primi tempi il nome si pronunciasse in plurale e cioè Cani Morti, alludendo al massacro dei Saraceni. Altra versione sarebbe, che il comandante delle truppe di Carlo Magno si chiamasse di nome Can oppure si riferiva alla qualifica del suo alto grado di comando (come oggi si direbbe Generalissimo o Maresciallo d’Italia) e che tale comandante venuto a morte, l’Amministrazione Civica di Orvinium, in segno di riconoscenza delle grandi e molteplici benemerenze acquisite verso la Città e per onorare degnamente e perennemente la memoria decise di sostituire il nome di Orvinium con quello di Can è morto, poi divenuto Canemorto. Però la versione più diffusa, sempre secondo la tradizione, è la seguente. Sembra che Orvinium fosse dominata da un crudele tiranno che era il terrore degli abitanti. Avvenutane la morte, il popolo ne avrebbe esultato dalla gioia, gridando: Finalmente il cane è morto! Il cane è morto! Il nome di Canemorto è rimasto fino al 1863, epoca in cui fu ripristinato l’antico e glorioso nome di Orvinium italianizzato in quello di Orvinio (Deliberazione Consiliare del 29.11.1862 che provocava il Reggio Decreto 29 marzo 1863. Orvinio fu per molti secoli sotto il dominio dei monaci Benedettini di S. Maria del Piano, passando quindi agli Orsini e da questi alla famiglia Muti. Più tardi fu dei Borghese con il titolo di Ducato. Il Castello negli anni più vicini a noi è stato anche proprietà del Comm.re Filippo Todini e poi Remo Parodi Salvo di Genova, il Barone Berlingeri ed attualmente ne è proprietario il Senatore S.E. Filippo Cremonesi, Ministro di Stato e Presidente della Croce Rossa Italiana. Orvinio sotto lo Stato Pontificio era sede di Governo con Residenza di Governatore; nel 1861 divenne Capoluogo di Mandamento nel Circondario di Rieti in Provincia di Perugia e comprendente i seguenti Comuni: -Orvinio; -Collalto Sabino con le frazioni di Ricetto e S.Lorenzo; -Collegiove; -Marcetelli; -Nespola; -Paganico Sabino; -Petescia; -Poggio Moiano con la frazione di Cerdomare; -Pozzaglia Sabina con le frazioni di Pietraforte e Montorio in Valle (l’appellativo di “in Valle” prima si diceva “nella Valle”; gli è stato applicato perché prospicente l’antica Valle ...Muzia); -Scandriglia con la frazione di Ponticelli (attualmente comprende anche il Comune di Monteleone Sabino con la frazione di Ginestra Fino al 31 dicembre 1840 è stata alle dipendenze della Curia Vescovile di Sabina e dal 1 gennaio 1841 è passata a quella di Tivoli da dove dipende attualmente. L’attuale Orvinio sorge sulle rovine dell’antica Orvinium e l’imponente Castello turrito si ritiene sia stato edificato sull’Arce dell’antica città sabina. Notizie estratte dall’archivio dell’Ecc.ma Casa Corsini, desunte da un manoscritto redatto da un anonimo, probabilmente tra la fine del 18° e i primi del 19° sec. e sul quale si legge quanto segue: “Esiste nella Valle Muzia l’antica e spaziosa chiesa dedicata alla SS.ma Vergine sotto il titolo dell’Assunta, ora però volgarmente detta S.Maria del Piano. L’edificazione di questa Chiesa s’ignora, e sol si congettura possa essere stata fabbricata da Carlo Magno, e però nel settimo secolo. E’ certo bensì che è stata posseduta e uffiziata longamente da P. Benedettini, che presso ad essa avevano il Monastero, di cui vi sono ancora le reliquie. Sebbene non sappia quando Eglino ne ebbero il possesso, pare possa dirsi, l’abbandonassero sul fine del secolo XV o sui primi anni del secolo XVI, giacché Leone X avendo alli 11 di maggio 1513 quello fa, che la ridusse ad Abbazia Secolare, dopo che i Monaci erano partiti, ab aevis, gravitate, et redditure diminatione. L’Abbate Benedettino godeva i diritti Parrocchiali de’ quattro Castelli, che erano intorno, cioè Petescia, Montorio, Pozzaglia e Valle Bona (Canemorto non formava a quel tempo Comunità, ma era una piccola Villa). Rovinate le fabbriche di Valle Buona, piacque a suoi abitanti stabilirsi in Canemorto, onde restò questo, come il Castello da cui ebbe l’origine, sotto la giurisdizione di questa Parrocchia di S.Maria. Partiti i Monaci, e conceduta l’Abbazia ad un Prelato, questi di Petescia, Montorio e Pozzaglia, formò tante Cure distinte, sgravandone se stesso, ed assegnò a rispettivi Parroci la metà delle decime del rispettivo Territorio. Volle solo per se ritenere la Cura di Canemorto forse, che luogo più prossimo alla sua Chiesa. Perché però non avesse il popolo il grave incomodo di trasferirsi per le funzioni di S.Maria destinò a tal uopo la chiesa di S.Nicola esistente dentro la Terra, mai però a quella togliendo l’onore di essere prima Chiesa, Capo e Matrice della Parrocchia, ond’è, che S.Nicola è stato sempre detto: Unita Ecclesia Sancte Marie=Membram Ecc.le S.Maria=Ecclesia Filialis ed dependens”. In seguito all’avvenuto crollo delle Fabbriche di Valle Bona i suoi abitanti abbandonarono quel paese e si trasferirono nella quasi totalità in Orvinio ad eccezione a qualche famiglia che prese dimora a Civitella e Porcili (oggi Percile) Quando avvenne ciò? Cercherò di stabilirlo il più esattamente possibile. Premesso che nel 1513, come risulta dal surriportato documento con notizie desunte dall’Archivio Corsini, Orvinio non faceva Comunità, ma era una Villa (Castello e sottostante primo nucleo di case) mentre il Castello di Vallebona esisteva al pari di quelli di Petescia, Montorio e Pozzaglia, pertanto l’esodo degli abitanti di Vallebona deve essere avvenuto esattamente dopo il 1513. Poiché l’attuale Chiesa di Vallebona è stata costruita nel 1643, quando l’abitato di Vallebona era stato già distrutto, si deve ritenere quindi che tale esodo sia stato effettuato dopo il 1513, ma prima del 1643. Vediamo ora se è possibile ridurre ancora tale distanza. Se la casa in Orvinio dove nacque l’insigne pittore cav. Vincenzo Manenti è compresa nel gruppo di queste fabbricate in Orvinio dagli ex abitanti di Vallebona, si deve ritenere per certo che ciò avvenne tra il 1513 e il 1600, anno di nascita del cav.Manenti. Stabilito inequivocabilmente il periodo di fusione fra gli abitanti di Vallebona e quelli di Orvinio, troviamo nel periodo compreso fra le due date (1513-1600) l’atto di nascita del nuovo nucleo di Orvinio comprendente via Segni da Porta dell’Arco a Porta Romana, via del Giardino dal portone n.14 fino a Piazza Vittorio Emanuele III, corso Vincenzo Manenti da via Ripetta a Porta Romana, le due porte suddette e il Borgo compreso fra la salita del Borgo e via Nuova ora Cesare Battisti. Nello stabilire il nuovo perimetro di Orvinio (il vecchio sarà descritto in seguito) fu tenuto certamente conto della sua possibile difesa forgiata in modo tale da rendere impossibile o quasi la sua espugnazione da chiunque avesse tentato di assalirla dall’esterno. Procediamo quindi lungo la sua linea di difesa: In Piazza Garibaldi guardando verso il Corso Manenti, a pochi metri di distanza, tanto a destra che a sinistra nella Porta Romana (fig.2). Esistono due massicce torri di difesa (fig.3). Ricordo che quella di destra era più bassa dell’altra e la sopra elevazione dell’ultimo piano fu fatta costruire dalla proprietaria tale Ragaglini Maria circa trentacinque anni or sono; nulla posso dire a riguardo delle funzioni che detta torre esplicava, in quanto il numero esterno è coperto da intonaco esistente da vecchia data e quindi l’osservazione è impedita onde accertare se vi fossero o meno, feritoie per bocche da cannone e archibugi. La torre di sinistra invece, che trovasi in asse con la salita del Borgo era una autentica fortezza. Ricordo di averla veduta circa quaranta anni or sono, prima che fosse profanata con l’apertura della porta a piano terra e con la stabilitura esterna dal proprietario del piano terreno Attilia Luigi, nella sua imponente interezza come ce l’avevano tramandata i costruttori. A circa due metri da terra, disposte intorno alla torre e alla stessa altezza, esistevano quattro bellissime feritoie simmetriche per bocche da cannone. Una o parte di essa, certamente è scomparsa con la non mai abbastanza deprecata apertura della porta suddetta; basterebbero pochi colpi di piccone per togliere l’indesiderata stabilitura onde vedere riapparire le feritoie nella loro maestosità ed imponenza. Non ricordo bene se nei due piani superiori esistessero feritoie per fucili; ritengo però che vi fossero effettivamente. Verso la sommità della torre, ed all’ingiro di essa a mò di cornicione, esistevano delle mensoline ora scomparse ed ignoro quale fosse stata la loro funzione. Inoltre ricordo bene di avere veduto bene l’attuale tetto che se non sarà quello originale, sarà certamente stato rifatto identico ad esso e con lo stesso materiale. Nella dannata ipotesi che i nemici che avessero attaccato Orvinio in quel punto fossero riusciti a superare la Porta Romana, i difensori potevano far fuoco d’infilata da una feritoia, esistente tutt’ora a bocca quadrata di circa centimetri dieci di lato; detta feritoia è stata inserita nella terza e quarta bugna dalla parte destra dello stipite bugnato del primo portone a sinistra sul Corso Manenti entrando da Porta Romana contrassegnato col civico numero due e prolungantesi a piramide tronca attraverso il muro avendo per base l’interno della casa (fig.4). Proseguendo a sinistra il muro perimetrale esterno dei fabbricati fronteggianti Piazza Girolamo Frezza (dove trovasi il monumento dei Caduti in guerra 1915-1918, opera dello scultore Tamagnini di Perugia (figg.5-6-7-8) fino ad incontrare il muro di cinta del Parco del Castello, fungeva magnificamente da muro di cinta, in quanto era privo di porte, perché quelle che vi sono attualmente sono state aperte posteriormente ed in un lasso di tempo più vicino a noi. In quell’epoca, ai locali a pianterreno di detti fabbricati, si accedeva dall’interno dell’abitato. La rampa con le arcate lungo la via della Passeggiata, con la soprastante strada che da Piazza Girolamo Frezza immette al Parco del Castello (fig.5) è stata costruita nella seconda metà del secolo scorso dall’Ecc.ma Casa Borghese. Antecedentemente il muro di cinta del Castello s’innestava con il fabbricato delle Vecchie Carceri. La linea difensiva seguiva l’andamento del muro di cinta del Parco del Castello fino al Torrione per poi innestarsi ai fabbricati lungo la Piazza del Sole fino a raggiungere la Porta Vecchia ora demolita (fig.10). Sottostante a via della Passeggiata, a pochi metri in basso e a destra del Torrione, esiste ancora bene conservato fabbricato a forma rettangolare quasi quadrata ad un solo piano coperto con tegole comuni e che era adibito quale torre di difesa posto in posizione eminentemente strategica. Verso la sommità si notano delle feritoie per bocche da cannone su tre lati (una per facciata) escluso quello verso Porta Vecchia che forse anche tale facciata ne era munita probabilmente abbattuta con le aperture praticatevi in seguito (fig.9) La Porta Vecchia era addossata ad un’altra torre di difesa (fig.10) esistente attualmente e bene conservata che congiunge Piazza del Sole con via degli Archi, ora Vincenzo Segni, soprastante l’attuale abbeveratoio detto “delle Coste” o “Mucchio dei Porci”. Anche in detta torre si notano delle feritoie per bocche da cannone e archibugi a tutte le quattro facciate (fig.10-11-12). Da questo punto i muri perimetrali esterni dei fabbricati lungo la via Segni fino alla Porta dell’Arco fungevano da muro di cinta come quelli in Piazza Girolamo Frezza; le porte attualmente esistenti in tale tratto sono state aperte posteriormente. Un muro di cinta univa la porta dell’Arco (fig.13) lungo l’attuale via Segni fino a raggiungere la torre di destra di Porta Romana continuando e costituendo con i loro muri esterni il tratto terminale della linea di difesa. Oltre a ciò, contribuiva efficacemente la poderosa difesa del Castello e ben a ragione gli Orviniesi che hanno vissuto in quell’epoca potevano essere ben sicuri ed al riparo da qualsiasi attacco nemico sferrato dall’esterno. La porta del Castello era munita di ponte levatoio; esternamente si notano (fig.14) in basso fra gli stipiti e la soglia quattro grandi e massicci anelli di ferro, dove giravano i cardini del ponte stesso e nel muro, soprastante il portone, due aperture per il passaggio delle catene che servivano per alzare ed abbassare il ponte stesso. Probabilmente innanzi al portone ci doveva essere un profondo fossato, il cui passaggio era superato attraverso il ponte levatoio quando era abbassato.
A fianco del portone, tanto a destra che a sinistra, vi sono due feritoie simmetriche per bocche da cannone con soprastanti relativi spioncini. Subito a destra ad angolo vi è una torretta da difesa (fig.15 e 16) ed in essa si notano delle feritoie per fuoco di fucileria delle quali, due nella facciata in linea con quella del portone, una prossima all’angolo di destra, mentre l’altra trovasi nella facciata che guarda verso via della Passeggiata (ora Quattro Novembre). Esse sono state ricavate dal punto di vista strategico in quanto sono prese d’infilata tutte le strade circostanti. Proseguendo lungo il muro di cinta del Castello, in via Quattro Novembre a sinistra ed in prossimità del portone distinto col civico n.6, il muro di cinta fa un angolo e nella sua rientranza si notano due feritoie per bocche da cannone (fig.17) sistemate ad angolo retto in modo che una, ora ridotta a finestra, dominava l’area di fronte, mentre l’altra prendeva d’infilata la strada stessa verso il Torricello. Proseguendo ancora oltre e giunti di fronte al n.35 della stessa Via, il muro del Castello forma un altro angolo e colà esistono altre quattro feritoie a diverse altezze, delle quali, due per bocche di cannone e due per fucileria (fig.18). Giudichi da se stesso il lettore se con tale formidabile sistema di difesa era possibile avventurarsi a cuor leggero osando di espugnare la piazzaforte di Orvinio; qualsiasi testa calda prima di tentare la problematica avventura doveva riflettere molto seriamente. Prima che l’attuale Orvinio si ingrandisse in seguito alla fusione dei suoi abitanti con quelli di Vallebona che avevano abbandonato il proprio abitato, era composto dal Castello e dal piccolo nucleo di abitazioni ad esso sottostanti. Anch’esso era munito di mura di cinta e la line, partendo da un punto qualsiasi per esempio da via della Passeggiata (angolo Piazza Girolamo Frezza) seguiva presso a poco il seguente andamento. Siccome in tale epoca l’ingresso al Parco del Castello in Piazza Girolamo Frezza non esisteva, il muro di cinta del Parco proseguiva in direzione dell’attuale via Umberto I (già del Giardino) innestandosi con le mura del fabbricato delle carceri rimanendovi incluso nella parte interna anche il portone di esse (n.16). fabbricati, in via UmbertoI, a cominciare dal portone n.14 (comunemente detto del Granarone) andando verso Piazza Vittorio Emanuele III sono di epoca posteriore. Guardando la facciata di fronte al portone n.14 e precisamente fra i portoni n.15 e 17 all’altezza del primo piano in prossimità di una minuscola finestra (fig.19) si nota ancora benissimo il punto dove era attaccato il muro di cinta. In quei paraggi e probabilmente in corrispondenza del portone principale del Castello doveva esserci probabilmente inserita una porta ora scomparsa. Il muro di cinta piegava verso sinistra per riallacciarsi col numero di cinta del Castello verso via della Passeggiata (ora 4 Novembre). Infatti in questa strada al primo piano della facciata fra i portoni n.29 e 31, in prossimità di una finestra, si nota benissimo anche qui dove era attaccato il numero di cinta (fig.20). Da qui l’andamento dello stesso si svolgeva verso Piazza del Sole per poi innestarsi con il complesso di Porta Vecchia. Anche nella facciata della Vecchia Giusdicenza e precisamente quella tra via degli Orti ed il portone segnato col n.20 in Piazza del Sole, fra il primo e il secondo piano e precisamente sopra la targa indicatrice della piazza, si nota benissimo dove era inserito il quel punto il muro di cinta ora scomparso. (fig.21) Porta Vecchia era inserita nel complesso di una massiccia torre di difesa a forma quadrangolare ancora esistente e bene conservata. In detta torre a varie altezze si notano feritoie a tutte quattro le facciate e precisamente: due da cannone a quella che guarda verso Piazza del Sole (fig.10) dove si nota bene la spalletta di sinistra della porta Vecchia scomparsa), quattro da cannone (una delle quali murata) e quella che guarda verso le Coste (fig.11) due da cannone alla terza facciata (una è murata) (fig.12). Della quarta e precisamente quella che guarda verso la Porta dell’Arco ne sporge solo una piccola parte formando angolo col fabbricato su cui è appoggiata la torre stessa. Ebbene anche a questa facciata esistono due feritoie per bocche da cannone, una al primo piano ed una al secondo piano (entrambe murate) mentre al terzo ne esiste una per archibugieri (fig.12). Da questa facciata si prendeva d’infilata via Vincenzo Segni, Anche per la cinta primitiva contribuiva efficacemente il muro di cinta sia del Castello che del Parco alla difesa del primo nucleo di Orvinio . NB. Accertamenti postumi. Risulta che il Tribunale (comunemente chiamato Curia) del Governo di Canemorto, nel 1583 già era passato dagli Orsini ai Duchi Muti, mentre quello dai Muti ai Borghese avvenne dopo il 1625. Sotto i Muti il Capo della Curia aveva il titolo di “Governatore e Vice Duca” , mentre sotto i Borghese quello di “Uditore”. A quell’epoca i paesi sottoposti alla Baronia di Collalto Sabino non facevano parte del Governo di Canemorto, mentre sotto la giurisdizione di questo, fra gli altri, erano compresi anche i seguenti abitati: Orvinio, Scandriglia, Ponticelli, Poggio Moiano, Cerdomare, , Pozzaglia Sabina, Montorio della Valle, Pietraforte, Petescia, Poggio Nativo, Castel Vecchio (oggi Castel di Tora), Colle Piccolo (oggi Colle di Tora), Vallinfreda, Percile, Licenza, Civitella, Viavaro, Roccagiovine. Sulla via Salaria esiste un ponte (all’altezza circa di Nerola) e nel parapetto di destra, andando verso Roma, troneggia una grande lapide in pietra indicante che fino lì si estendeva la giurisdizione del Governo di Canemorto. Le condanne che poteva infliggere la Curia di questo erano le seguenti: 1) pena di morte; 2) galera a vita; 3) galera a tempo; 4) multe; 5) esilio; 6) tratti di corda; 7) la catena infame o berlina. Le pene inflitte di cui ai nn.1 e 2 portavano come conseguenza la confisca totale o parziale dei beni. Il condannato alla pena di cui al n.5, veniva esiliato o dal solo Stato di Canemorto o da quello ecclesiastico a seconda della gravità della mancanza commessa. Le sentenze di morte venivano eseguite mediante impiccagione.